Migranti, l’avvocato generale alla Corte Ue: “Paesi sicuri anche con eccezioni”. Ma il controllo dei giudici resta
La questione è quella dei Paesi d’origine sicuri, che ha bloccato, tra gli altri, i trattenimenti dei richiedenti asilo nei centri in Albania, scatenando le ire del governo e causando una lunga serie di rinvii alla Corte di giustizia europea. Nell’attesa della sentenza che dovrebbe arrivare prima dell’estate, sono state intanto pubblicate le conclusioni dell’avvocato generale Jean Richard de la Tour che non vincolano la Corte ma propongono ai giudici “in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato”. Il principale quesito sollevato dal Tribunale di Roma in merito al ricorso di due bangladesi trasferiti in Albania, causa nella quale la Corte Ue ha riunito quelle degli altri tribunali sulla stessa questione, riguarda la possibilità di designare un Paese terzo come “di origine sicuro” quando, in base alla normativa Ue, tale Paese non può considerarsi tale per categorie di persone che rimangono a rischio di persecuzioni e violazioni gravi. “Questa prassi, se accompagnata da limiti e garanzie sufficienti, non tradisce la definizione di “paese di origine sicuro” contenuta nell’allegato I della direttiva 2013/32, che parla di assenza di persecuzioni “generalmente e costantemente””, ha scritto l’avvocato generale.
Le decisioni dei magistrati italiani, da cui le mancate convalide dei trattenimenti in Albania e i successivi rinvii alla Corte Ue, avevano considerato la designazione con esclusione di categorie a rischio incompatibile con l’attuale direttiva europea (32/2013), anche basandosi su una precedente sentenza della stessa Corte Ue, emessa il 4 ottobre scorso. Di tutt’altro parere il governo Meloni, che oggi incassa il parere dell’avvocato generale, che tuttavia fa importanti distinguo ed evidenzia la necessità di regole stringenti a garanzia dei richiedenti asilo. La designazione che esclude categorie a rischio, precisa infatti il comunicato, “è possibile solo qualora, da un lato, la situazione giuridica e politica di tale paese caratterizzi un regime democratico che garantisca alla popolazione in generale una protezione duratura contro tali rischi”. In altre parole, devono essere rispettati i diritti e le libertà fondamentali. Circostanza sulla quale esistono forti dubbi per diversi Paesi inseriti nell’elenco dei “sicuri” che, dall’anno scorso comprende anche Egitto e Bangladesh.
Peraltro, l’avvocato ammette il possibile contrasto tra le sue conclusioni e la pronuncia della Corte del 4 ottobre, che aveva esplicitamente negato la possibilità di escludere aree di territorio del Paese designato senza però entrare nel merito delle eccezioni per categorie di persone. Anche per questo l’avvocato propone condizioni stringenti, a partire dall’esistenza di un sistema democratico stabile e in grado di garantire generalmente una protezione sufficiente. Tanto che considerare a rischio categorie come oppositori politici e giornalisti renderebbe a dir poco infelice la scelta di dichiarare “sicuro” il Paese che li perseguita. Inoltre, si precisa, la procedura d’asilo accelerata deve comunque garantire un esame adeguato e completo della domanda. C’è da chiedersi se le domande d’asilo bocciate a Gjader, nel giro di una notte, siano state sufficientemente approfondite da garantire davvero i diritti degli interessati. Inoltre, si legge, “ciò implica che lo Stato membro deve identificare la categoria o le categorie di persone a rischio in occasione della valutazione della situazione generale del paese terzo da esso compiuta, così da escludere espressamente queste ultime dall’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e della presunzione di sicurezza ad esso associata”.
Nondimeno, le conclusioni legittimano una volta di più il controllo giurisdizionale. Non solo: il giudice nazionale deve disporre delle fonti di informazione che sono servite da base per tale designazione così da poterne valutare la legittimità. “Infatti, la mera circostanza che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro mediante un atto legislativo non può avere la conseguenza di sottrarlo ad un controllo di legittimità, salvo privare di qualsiasi efficacia pratica la direttiva europea“. Respinte dunque le considerazioni di ministri come Nordio e Piantedosi, certi che la designazione sia una questione che deve compete solo alla politica e non può essere decisa dai giudici. Al contrario di ciò che il governo ha sempre sostenuto, invece, il giudice deve sempre verificare la legittimità della designazione alla luce della direttiva: a prescindere dalla situazione personale del singolo richiedente e a prescindere dal fatto che la designazione sia stata fatta con norma primaria, in questo caso un decreto legge. “L’atto legislativo (di designazione dei Paesi d’origine sicuri, ndr) applica il diritto dell’Unione e – continua il comunicato – deve garantire il rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali riconosciute ai richiedenti protezione internazionale dal diritto dell’Unione”. Diversamente da quanto fatto col decreto del governo che contiene l’elenco dei Paesi d’origine sicuri, dunque, le fonti del legislatore vanno divulgate proprio in funzione del controllo giurisdizionale: “In assenza di divulgazione di tali fonti di informazione da parte del legislatore, l’autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione sulla base di fonti di informazione da essa stessa raccolte tra quelle menzionate nella direttiva”.