L’incontro tra Laudesi e Theatre No Theatre a Milano: così il teatro combatte l’isolamento

C’è stato un tempo in cui fra i gruppi teatrali era una pratica diffusa quella di incontrarsi, scambiare materiali e metodi di lavoro e, non di rado, collaborare artisticamente. Penso in particolare all’area variegata che si chiamò – grazie a Eugenio Barba – “terzo teatro”, presidiata negli anni Settanta e Ottanta da formazioni come Teatro Tascabile di Bergamo, Teatro Potlach, Piccolo Teatro di Pontedera, Teatro Nucleo, Teatro di Ventura, Teatro Settimo. Formazioni nella cui nascita quasi sempre aveva avuto un’importanza decisiva il legame con l’Odin Teatret.
Lo stesso Jerzy Grotowski, il grande maestro polacco di cui troppo spesso si è sottolineata la tendenza alla chiusura, da quando si installò a Pontedera con il Workcenter, nel 1986, promosse per anni decine e decine di incontri con le realtà più giovani della nuova scena italiana.
Da molto tempo questa pratica è quasi scomparsa, a favore di un isolamento solipsistico che non è certo una caratteristica esclusiva del teatro, oggi. Per questo è da accogliere con grande favore il segnale in controtendenza che ci arriva da Milano, dove dal 18 al 22 marzo scorsi si è celebrata la seconda edizione di “Percorsi Nomadi-Incontri e pratiche sulla ricerca teatrale nel XXI secolo”, a cura di Raúl Iaiza e Thomas Richards. Come la prima, ma in maniera ancora più strutturata, questa edizione è stata imperniata sull’incontro artistico di due formazioni teatrali recenti, Laudesi e Theatre No Theatre, molto diverse tra loro ma con alle spalle una lunga storia che presenta significativi punti di contatto.
I Laudesi nascono nel 2021 all’interno di Regula Teatro, un’associazione guidata da Raúl Iaiza, musicista, performer e regista, che è stato per diversi anni collaboratore di Barba all’Odin Teatret, quindi direttore del gruppo La Madrugada a Milano e curatore di progetti per un decennio al Grotowski Institut di Wrocław in Polonia. Theatre No Theatre nasce nel 2022 ad opera di Thomas Richards, dopo la chiusura del Workcenter di Pontedera, che aveva diretto per trent’anni, insieme a Grotowski fino al 1999 e poi da solo, con Mario Biagini come direttore associato.
Insomma, c’è aria di famiglia fra le due realtà ma non era affatto scontato, in un clima come l’attuale, che potessero davvero unirsi in un progetto comune. A ciò ha contribuito sicuramente il fatto che esse condividano l’idea della centralità del performer a teatro, compreso il lavoro su se stessi, tecnico e non solo, che essa comporta, e soprattutto la scelta del canto come mezzo espressivo d’elezione.
Certamente, i tipi di canti a cui fanno riferimento sono molto diversi: la tradizione popolare e semi-culta italiana dal Medioevo a oggi, per i Laudesi, che devono il loro nome alle Laude, drammatiche e non, nate nel XIII secolo nell’Italia centrale a seguito della predicazione francescana, e alle confraternite che le cantavano e rappresentavano in volgare e fuori dalla Chiesa; per Theatre No Theatre, i canti afro-caraibici (per tanto tempo alla base del lavoro di Grotowski e Richards a Pontedera) e poi canti delle più diverse tradizioni nel mondo, dalla Spagna all’Irlanda, da Cuba alla stessa Italia (scelti in base alla provenienza degli attuali componenti del gruppo).
Dalla loro nascita i Laudesi si sono dedicati a costruire una struttura performativa intorno al tema della Passione di Cristo, servendosi di canti provenienti dalla tradizione delle Laude (a cominciare da quelli contenuti nel famoso Laudario di Cortona) integrati con materiali della liturgia e paraliturgia popolari, in genere raccolti nel secolo scorso da specialisti del calibro di Roberto Leydi, Diego Carpitella, Giavanna Marini e Cesare Bermani. Da due anni questo lavoro si è concretizzato in una suggestiva partitura di canti e azioni che – nelle successive presentazioni, fino a quella di qualche giorno fa – sta progressivamente sviluppando una evidente vocazione spettacolare (Passio. Azione intorno alla liturgia popolare in Italia).
Theatre No Theatre (il cui training continua a essere basato sui canti afrocaraibici che stanno alle origini del Workcenter di Pontedera) ha già in repertorio uno straordinario “solo”, scritto, cantato e recitato dalla performer coreana Hyun Ju Baek (Han) e sta lavorando da tempo a uno grande spettacolo collettivo, cantato e recitato, che si basa sui miti sumerici riguardanti la dea Inanna (The Inanna Project), per la regia di Thomas Richards. Una prova aperta a Milano ha permesso di farsi un’idea già abbastanza precisa delle grandi potenzialità di questo lavoro, che debutterà alla metà di giugno alla Biennale Teatro di Venezia, candidandosi a diventarne uno degli eventi di punta. Bisognerà riparlarne per l’occasione.