Enrico Ruggeri contro i trapper dice il vero. Io vedo lo stesso sbando anche in politica
“Un ragazzino che ammazza una vecchia è una storia trap? No, è Delitto e castigo di Dostoevskji. Non è un problema di argomenti, ma di come li racconti, con quali parole. A scandalizzarmi è la povertà del lessico, la miseria espressiva di chi scrive canzoni potendo utilizzare un vocabolario di 200 parole. Io alla loro età li conoscevo tutti i poeti maledetti. Loro no e si vede. Non puoi scrivere canzoni se non conosci la lingua nella quale ti vuoi esprimere. Tutto qui. Anch’io scrivevo pezzi arrabbiati, ingenui, però leggevo libri e grandi scrittori che rappresentavano un mondo simile a quello che volevo raccontare io. Questi non hanno letto neppure il bugiardino dell’Aspirina. Sogno un mondo in cui a vedere i concerti di Tony Effe non ci vada nessuno!”.
Sono le dichiarazioni recentemente rilasciate da Enrico Ruggeri, in occasione dell’uscita del suo nuovo album La caverna di Platone. Non ho ancora ascoltato il disco, anche se da non esperto di musica terrò per me il mio irrilevante parere. Invece da filosofo e docente mi sento di innalzargli un monumento ideale. Perché ha detto la verità: la grande parte delle giovani generazioni ascolta una musica di mer*a, composta da pseudo-artisti che spesso non sanno suonare neppure il citofono di casa (cominciarono gli 883 in questo, ma nessuno se lo ricorda e proprio in questi giorni il mainstream li celebra acriticamente per via di una serie tv), con una povertà di linguaggio che è lo specchio più desolante di un paese abbrutito e ignorante.
Poi perché ha evidenziato un problema pedagogico ignorato dalla maggior parte degli intellettuali e analisti: proprio Platone infatti – filosofo autore del mito della caverna che dà il titolo all’album – considerava l’educazione musicale fondamentale per la crescita sana, creativa ed equilibrata di un giovane. Non è questione di testi violenti delle canzoni – musica e letteratura vere offrono già il meglio, in materia, se si pensa a un Lou Reed o a un Bukowski – bensì di un’ignoranza compositiva e letteraria, portata avanti da quei mediocri di successo che spesso sono i rapper e i trapper, che inevitabilmente si riflette sui ragazzi che li ascoltano.
Infine, va riconosciuto a Ruggeri il coraggio di essersi espresso in controtendenza rispetto alla marea montante di silenzio omologato, di finta benevolenza paternalistica di troppi intellettuali verso la galassia dei giovani (l’alternativa è troppo spesso l’indifferenza), ma soprattutto di opportunismo criminale da parte di un sistema spettacolare la cui unica stella cometa è il business, la logica quantitativa dei profitti a ogni costo, la creazione a comando di miti vuoti per giovani pieni del nulla che offre loro una società allo sbando.
Una società che ha consegnato ormai intere generazioni a strumentazioni digitali alienanti e omologanti (oltre che dannose sul piano cognitivo, psico-emotivo e relazionale), tra il silenzio quasi generalizzato di osservatori e analisti la cui preoccupazione principale sembra essere il ritorno di un fascismo che troppi giovani di oggi non sanno più neanche cosa sia.
Quegli stessi giovani che, quando va bene, si appassionano e si impegnano sulle questioni legate all’ambiente, ignorando che gli smartphone da cui non sanno staccare lo sguardo (e tutta la tecnologia connessa) inquina l’ambiente, consuma le energie del pianeta e provoca la sparizione di intere specie animali come nient’altro prima.
Di una società allo sbando e di intere generazioni lasciate in balia di tecnologie lobotomizzanti si dovrebbe occupare una Politica (con la maiuscola) che risulta non pervenuta a trecentosessanta gradi (ossia dovunque ci si volti).
Sì, perché la vera questione sconfortante è che le parole di Enrico Ruggeri potrebbero essere applicate, oltre che al contesto del rap e del trap, alla nostra realtà politica. Anche io sogno un mondo in cui nessuno prenda neppure in considerazione di votare certi elementi impreparati, grotteschi e lestofanti che popolano le stanze parlamentari e governative e che ci tocca ascoltare ogni giorno mentre pontificano sui media. Invece adesso arriva il Festival di Sanremo, e l’unica notizia in qualche modo gradevole è che per qualche giorno il nulla cosmico della politica nostrana verrà parzialmente oscurato dall’immondizia spettacolare dell’operetta italiana.