Lady Gaga con Abracadabra torna alle origini: una comfort zone che può essere pericolosa
di Giovanni M
È uscito il 3 febbraio il nuovo singolo di Lady Gaga “Abracadabra”.
Qualche accenno di questo nuovo lavoro era stato anticipato alla cerimonia dei Grammy Awards 2025 a Los Angeles il giorno prima che uscisse su tutte le piattaforme di streaming nei giorni successivi. Nella prima giornata di diffusione, sulle radio arriverà qualche giorno dopo, su Spotify raggiunge i 4,9 milioni di streaming, non un risultato da poco. Stavolta nessun “hype” prima dell’uscita, qualche dettaglio anticipato sui social, nessun video in pompa magna che contribuisse a ciò che potesse modificare la ricezione della novità in arrivo.
Ancora sotto l’ombrello del successo di “Die with a smile” con Bruno Mars che, nella stessa kermesse californiana – dove ha anticipato il nuovo lavoro – riceve un Grammy come “Best duo pop”. Insomma, forse non aveva bisogno di annunciare il nuovo arrivo in pompa magna. Eppure il 3 febbraio “Abracadabra” è letteralmente esploso nelle nostre vite. Un ritornello ridondante, incessante, quasi persecutorio che , dalla prima volta che lo ascolti, non esce più dalla tua testa. Non il solito tormentone. Stefani Germanotta e il suo team ci hanno visto lungo: ritornare alle origini in un momento dove la popstar si è esposta da ogni punto di vista è stata un’ottima mossa (forse anche commercialmente parlando). Sonorità che annunciano un ritorno alla Gaga del 2010 o a qualche anno prima; al periodo di “Alejandro” e “Poker Face”. Sonorità elettroniche nuove intrecciate a qualche punto di synth, inserti anni ’80 mixati a effetti che riportano le lancette dell’orologio a quel decennio contornate da qualche interpolazione che appare, seppur lieve, in alcuni istanti del brano.
A mio avviso, però, c’è un pericolo. Ogni tanto gli artisti hanno la tendenza a tornare alle origini perché sanno che quel lavoro funzionerà, una sorta di zona di comfort, a colpo sicuro. Molte volte perché nell’industria musicale, oggi come oggi, devi essere competitivo; ai tempi di “Alejandro” Stefani poteva davvero dormire sonni tranquilli sotto questo punto di vista. Eppure tutto questo clamore non si è verifcato con “Disease” che pure richiama tanto la Germanotta prima maniera. Cosa differenzia davvero i due singoli? Sicuro un ritmo nettamente diverso, battiti per minuti (bpm) più veloci e questo ritmo “stalker” che ti entra nelle orecchie e fluisce lungo tutto il corpo. Un successo che riconosco a questo lavoro, un video davvero accattivante con delle coreografie che richiamano a una sorta di rivoluzione guidati da frame che riprendono una Lady G dagli sguardi di persona “disturbata” (che è un po’ il successo che l’ha contraddistinta nel suo periodo di esordio).
Il 7 marzo uscirà “Mayhem” di cui abbiamo già ascoltato tre titoli. Vedremo se Gaga, Andrew Watt e Michael Polansky saranno in grado di reggere l’aspettativa che, dopo l’uscita di “Abracadabra”, sarà difficile da tenere. Dopo “Die with a smile” e “Disease” tocca il punto più alto della scala di gradimento (lo dicono gli stessi streaming dai primi giorni di uscita). Nel frattempo ci godiamo questa magia che, a mio avviso, ci porteremo dietro per qualche tempo – forse più dei soliti due mesi tipici di questo periodo – e la cosa, francamente, non mi dispiace affatto.