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“Paragon non lo vende il salumiere”. Il malware che imbarazza il governo secondo Giuliano Tavaroli: “Responsabilità politica”

L'ex spia del 'Tiger Team': "Azione decisa e ordinata da qualcuno in una posizione di comando. Quindi, o per negligenza o per dolo, siamo nel campo della responsabilità politica"
“Paragon non lo vende il salumiere”. Il malware che imbarazza il governo secondo Giuliano Tavaroli: “Responsabilità politica”
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Il caso Paragon “è fonte di imbarazzo politico per il governo: qualcuno dovrà assumersene la responsabilità”. Così, in una intervista alla Stampa, Giuliano Tavaroli, ex sottufficiale dell’Anticrimine dei carabinieri di Milano ed ex responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom negli anni dello spionaggio del ‘Tiger Team’ per cui fu condannato. “Il malware con cui sono stati infettati quei telefoni non si compra dal salumiere – spiega – è una concessione che la società israeliana vende ai governi”.

Ecco come stanno le cose secondo Tavaroli: “In Italia c’è un’agenzia che lo acquista e lo cede alle forze dell’ordine, alla magistratura o all’intelligence. Il suo utilizzo è regolamentato. Dunque, in assenza di motivazioni di sicurezza nazionale o indagini preventive disposte dalla magistratura, non si può intercettare un libero cittadino”. “Proprio perché così inaccessibile – prosegue – è evidente che qualcuno nell’apparato di sicurezza del Paese ne ha fatto un uso improprio, che sia un errore o un abuso. Ma quell’azione è stata decisa e ordinata da qualcuno in una posizione di comando. Quindi, o per negligenza o per dolo, siamo nel campo della responsabilità politica”.

“Quel che è certo – prosegue – è che Palazzo Chigi non ha alcuna intenzione di uscire dal suo perimetro commettendo un’azione così grave. A meno che non si tratti di un caso di sicurezza nazionale. A quel punto, invochino il segreto di Stato ma se ne assumano la responsabilità”. Alla verità però si potrà arrivare: “Paragon sa a chi ha concesso la sua tecnologia e chi era l’utente finale. Mi auguro che vengano convocate delle audizioni al Copasir, a partire da Mantovano. L’ipotesi di un operatore infedele? Non lo escludo. Ma non credo che si tratti di qualcuno che si senta legittimato da questo o quel partito politico. L’ordine è arrivato da qualcuno in posizione di autorità. Ma è vero anche che in questo Paese c’è l’abitudine a sacrificare sempre quello più in basso nella catena di comando”.

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