D’accordo: è perlomeno da anime belle credere che il Teatro possa offrire ancora una risposta alle nostre Città dell’Uomo come all’origine nella polis greca, mentre fuori infuria il carnevale tragico del mondo impazzito di questo 2025. Ma se poi questo riflesso di autocoscienza arriva a noi persino dal cuore di tenebra della dittatura islamista in Iran, il regime più consolidato dell’oscurantismo religioso contemporaneo, forse bisogna ricominciare a credere che l’ingenuità possa vincere sfide impossibili.

Lo si coglie perfettamente nei due prossimi appuntamenti di rilievo a Milano con il nuovo teatro degli ‘expat’ iraniani, nell’ambito del festival di arti performative FOG: il 7-8 febbraio al Teatro dei Filodrammatici va in scena ‘We Came to Dance’ – siamo venuti per ballare, come cantava Ultravox, una sorta di conferenza-spettacolo sulla rigida censura della danza a Teheran, di Ali Asghar Dashti e Nasim Ahmadpour; e il 18-19 febbraio, in Triennale Teatro, ‘Songs for no one’ – Canzoni per nessuno, di Nastaran Razawi Khorasani, propone un apologo poetico affidandosi a due ragazzini iraniani.

Questi artisti, che non hanno ancora nomi così conosciuti, rinnovano con coraggio e attualizzano la ricca tradizione teatrale post-persiana. Addirittura ‘Songs for no one’, che è costruito con dialoghi, poesie e appunto canzoni tratte da conversazioni telefoniche reali e vuol essere il ritratto di una società nascosta e ben viva nonostante la dittatura islamica, ha per protagoniste le voci di ragazzi che parlano nell’antica lingua persiana.

Songs for no one - scenefotos ©Julian Maiwald-3
Songs for no one – scenefotos ©Julian Maiwald-3

Man mano il regime teocratico degli ayatollah ha talmente inasprito la morsa repressiva, come noto, che nel 2022 ha persino vietato di ballare alle compagnie professionali di ballerini. Da questo muovono la drammaturga Nasim Ahmadpour e il regista Ali Asghar Dashti in ‘We came to dance’, secondo atto di una trilogia di Tavole per il Teatro Manifesto: in scena, dietro al classico bancone da conferenze, due ballerini completamente immobili descrivono ai due autori i movimenti che avrebbero fatto se avessero potuto ballare. Il resoconto dettagliato e toccante si intreccia con la ricostruzione di vari episodi del passato recente, ispirati a fatti realmente accaduti: il ristorante ‘Galileo’ aperto con grandi timori dalla compagnia teatrale di Hamid Samandarian, dopo l’espulsione dai teatri per il progetto di un allestimento de ‘La vita di Galileo’ di Brecht; la vicenda di un altro regista perseguitato che, sbattuto in cella, – ricordando bene un amico pittore che in prigione aveva imparato perfettamente a sciare, simulando con la guida di un prigioniero che era stato un esperto discesista – si chiede se, a sua volta, facendo agire come in una rappresentazione teatrale i suoi compagni di detenzione, potrebbe smettere di essere prigioniero per un momento…

We came to dance – Ali Asghar Dashti Nasim Ahmadpour © Beatrice Borgers-12

Ad oggi Nasim Ahmadpour e Ali Asghar Dashti cercano di tenere in vita la loro compagnia Don Quixote anche in Iran, pur se ormai soltanto con piccole rappresentazioni clandestine in case private. ‘Non dimenticheremo che non dobbiamo dimenticare’ recita l’epigrafe di questo spettacolo presentato al Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles, e considerato subito ‘una gemma teatrale in una disperata lettera d’amore al palcoscenico’. ‘Songs of no one’, che è un progetto del 2020 e ha portato vari premi e riconoscimenti a Nastaran Razawi Khorasani, al Flemish Theatre Festival del 2022 è stato considerato ‘una delle produzioni più interessanti, socialmente rilevanti e innovative dell’ultima stagione’.

Purtroppo, anche nell’Europa che ama e ospita questi ed altri artisti ‘expat’ non va proprio tutto per il meglio, e non solo per via del dilagare così spesso tragico dell’oscurantismo islamista. Nel Belgio, che è stato il Paese laboratorio di tanta creatività d’avanguardia, aperto al mondo, e appunto anche ai nostri iraniani di cui s’è detto, è in pista un nuovo governo con a capo il nazionalista fiammingo Bart De Wever.

Gli esponenti del partito vincente RN di Marine Le Pen, dove già governano come sindaci, chiudono le sale teatrali socialmente più attive, come l’Escapade di Hénin-Beaumont, in Alta Francia. In Austria si prepara già una nuova resistenza, promossa dal regista guru Milo Rau, contro la probabile stretta orbaniana sulla cultura che ci s’attende dal premier incaricato Herbert Kickl, leader di FPÖ che è comunque già il primo partito. Per non dire della Germania, mentre vola nei sondaggi AfD, con la benedizione di Elon Musk. Per fortuna che in Italia Giorgia Meloni sembra così distratta dalla guerra contro i giudici, che non bada tanto a quel che fanno i proconsoli di Fratelli d’Italia per la cultura e lo spettacolo: s’accontentano di controllare la tv di Stato, i grandi eventi, le Arene e i Festival, e dopo qualche altra scaramuccia si sono incartati nelle fumosità o dietro alle gonnelle di passaggio…

Potrebbe non andare sempre così e perciò è due volte interessante poter seguire a Milano le belle lezioni morali di questi appassionati artisti iraniani.

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