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Ottorino Respighi e i Quaderni della Scarlatti: un libro e una rivista sulla musica patria

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Non vi fate impressionare dalla mole: 1042 pagine, un tomo che non portereste nello zainetto per leggiucchiarlo in treno. Il titolo è netto: Ottorino Respighi: un iceberg sinfonico. Verte su un musicista di rango, oggi poco frequentato. Lo hanno scritto Francesco Attardi e Lorenzo Casati, per la LIM di Lucca. Attardi è direttore d’orchestra, vive fra Italia e Stati Uniti. Casati insegna Teoria musicale alla “Civica” di Milano, compone opere liriche e musica da camera.

Ad apertura, si legge un simpatico aneddoto, che svela il senso del libro. Riccardo Muti riferisce che un’orchestra americana – dev’essere stato un ensemble di prim’ordine – gli chiese di eseguire musiche di Respighi. Candidamente, il Riccardo nazionale rispose che non le aveva mai studiate. La musica sinfonica di Respighi, amata di là dall’oceano, non ha altrettanta fortuna in patria. Attardi e Casati illuminano proprio quella zona d’ombra che è calata su Respighi e su altri compositori italiani del primo Novecento.

Ottorino nacque a Bologna, città dotta e grassa, “di squisita cultura, ma sensuale e gaudente”, nel 1879: appartiene dunque alla cosiddetta Generazione dell’Ottanta, che annovera musicisti di valore, Casella, Malipiero, Pizzetti, Alfano. Essi diedero fama alla musica italiana dell’epoca. Nel Ventennio, Respighi ottenne incarichi di prestigio, ma la sua natura introversa gli impedì di ‘far politica’; i frequenti viaggi all’estero gli permisero peraltro di vivere in una dimensione cosmopolita e internazionale. Nel 1979, per il centenario – l’ambiente intellettuale era allora proiettato sulla Nuova Musica, quella delle avanguardie –, un critico musicale, forse il più perspicace che l’Italia vanti, Fedele d’Amico, denunciava il disinteresse per il musicista; e lo stesso fece Giovanni Carli Ballola, altro critico di spicco. Va dato merito a un giornale importante, Il Resto del Carlino, di aver recensito per la prima volta, nel 1899, il Respighi violinista: ne lodò, durante l’esame di diploma, l’esecuzione dell’op. 8 di Paganini, Le Streghe, uno dei brani impervi del repertorio violinistico.

Non fu solo Bologna la città di formazione. Dal 1900 al 1903 Respighi fu a Pietroburgo e a Berlino: e sebbene se ne faccia partire il percorso artistico dalle Fontane di Roma del 1916, molte composizioni scritte prima di questa data non sono certo ‘minori’. Attardi e Casati esaminano ogni opera, dalle famose alle misconosciute. Il loro libro ha due facce: il semplice musicofilo leggerà con piacere l’Introduzione a ciascuna composizione, mentre il musicista e il musicologo potranno affrontare con profitto l’approfondimento tecnico della partitura. Tutti, coltissimi e meno sapienti, si diletteranno della bella intervista, a inizio volume, che Attardi fece alla vedova, Elsa Respighi (1894-1996). Lui se n’era andato nel 1936, lei, compositrice sua allieva, gli sopravvisse sessant’anni. Come si sa, le consorti conoscono il coniuge meglio di chiunque altri: Elsa non faceva eccezione.

Chi mi legge sa che nutro un amore profondo per le riviste. Non è un pallino. Sono convinta che la cultura musicale (anzi, la cultura tout court) continui a passare in gran parte attraverso i periodici, siano essi su carta oppure online. Da tempo ho sulla scrivania alcune annate dei Quaderni della Scarlatti – la nuova serie è stata inaugurata nel 2019 – , editi anch’essi dalla LIM. La pubblicazione è stata riattivata per celebrare il centenario dell’Associazione Scarlatti. La cura Daniela Tortora, docente di Storia della musica nel Conservatorio di Napoli, nota per i suoi lavori sulla musica contemporanea (la prima annata è curata anche da Tommaso Rossi). La rivista è legata all’attività musicale dell’Associazione napoletana da cui promana – lo dice nelle premesse il presidente Oreste de Divitiis –, ma trae linfa anche dal contatto con altre associazioni concertistiche nonché dalle ricerche di studiosi di vaglia.

Alcuni articoli sono importanti non solo per la storia musicale di Napoli, ma anche per la storia della musica in generale. Se da un lato si privilegiano le ricerche archivistiche (e Dio sa quanti tesori Napoli conserva!), dall’altro non mancano i saggi aperti sulla cultura storica europea, né quelli che vagheggiano sfumature ermeneutiche. Per dire, l’annata 2022 presenta, fra gli altri, articoli di Domenico Antonio D’Alessandro, Ignacio Rodulfo Hazen, Gianluca D’Agostino, Costantino Catena e Anita Pesce, rispettivamente sulla cantante seicentesca Adriana Basile, sui comici Gutiérrez che importarono l’aria alla spagnola in Italia, sulla musica a Napoli nell’era fascista, sul rapporto fra Schumann ed E.T.A. Hoffmann, sullo scambio ‘mancato’ fra Roberto De Simone e Pier Paolo Pasolini.

Ogni rivista deve seguire una sua linea: e i Quaderni hanno già assunto una fisionomia ben riconoscibile. La dovranno mantenere, dosando a puntino i vari campi d’indagine. Così continueranno ad essere un punto di riferimento per gli studiosi giovani e meno giovani, in Italia e all’estero.

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