Lo hanno condannato a 30 anni e non all’ergastolo, come richiesto dalla Procura, per avere ucciso a fucilate la moglie Gabriela Trandafir, 47 anni, e la figlia della donna, Renata, 22enne, a Cavazzona di Castelfranco Emilia. E i giudici della Corte di Assise di Modena, nel motivare perché considera le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti per Salvatore Montefusco, scrive che l’uomo, “arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate”. Dunque la pena dei 30 anni è stata decisa anche in ragione “della comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”.
Motivazioni che hanno suscitato polemiche sia sul fronte dei famigliari delle vittime che su quello politico, con la ministra delle Pari opportunità Eugenia Roccella che parla di “elementi assai discutibili e certamente preoccupanti” contenuti nella sentenza. Critiche anche da chi in prima persona assiste le vittime di violenza: per Elisa Ercoli, presidente Differenza Donna che gestisce il 1522, il numero antiviolenza e antistalking promosso dal dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, “la sentenza di Modena riporta su una interpretazione inaccettabile. Serve formazione adeguata per chi giudica e magistrati dedicati e specializzati su questi reati per comprendere le fondamenta delle dinamiche della violenza maschile. In assenza di questa formazione non c’è giustizia per le donne in un Paese che fa fatica ad evolvere”. Per Ercoli “il danno procurato da simili sentenze è incalcolabile: un danno che incide sulla fiducia delle donne che denunciano e su quelle che vorrebbero denunciare, ma soprattutto un enorme danno sulla percezione collettiva di una reale possibilità di giustizia in caso di femminicidio. Definire ‘black out emotivo’ un gesto efferato figlio di continui maltrattamenti è solo un immenso insopportabile regalo alla peggiore cultura patriarcale”. I parenti delle vittime, tramite la legale Barbara Iannuccelli esprimono “forte incredulità” per la decisione dei giudici. “La giovanissima vittima, Renata Trandafir, voleva fare l’avvocato per acquisire gli strumenti con cui difendersi dalle quotidiane violenze a cui lei e sua madre erano sottoposte – ha dichiarato l’avvocata -. Oggi le è stata risparmiata l’esperienza di comprendere il perché uno spietato assassino di due donne inermi possa essere destinatario di tanta benevolenza. Circostanze attenuanti generiche che spazzano via qualunque circostanza aggravante per umana comprensione. Navighiamo tutti in un mare di forte incredulità”.
Le motivazioni dei giudici – La Procura di Modena aveva chiesto l’ergastolo per Montefusco, ma i giudici (presidente estensore Ester Russo) il 9 ottobre hanno riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti rispetto alle aggravanti riconosciute (rapporto di coniugio e aver commesso il fatto davanti al figlio minore della coppia), escludendo premeditazione, motivi abietti e futili, l’aver agito con crudeltà e ritenendo assorbiti i maltrattamenti nell’omicidio. La sentenza spiega in oltre 200 pagine come il delitto sia avvenuto in un contesto di forte conflitto tra Montefusco e le due donne, con presentazione di denunce reciproche. Secondo i giudici il movente “non può essere ricondotto e ridotto a un mero contenuto economico” sulla casa dove vivevano. Ma è piuttosto da riferirsi “alla condizione psicologica di profondo disagio, umiliazione e enorme frustrazione vissuta dall’imputato, a cagione del clima di altissima conflittualità che si era venuto a creare nell’ambito del menage coniugale e della concreta evenienza che lui stesso dovesse abbandonare l’abitazione familiare” e con essa anche controllo e cura del figlio.
Per i giudici è “plausibile” che, come riferito da Montefusco, quando Renata gli disse ancora una volta che avrebbe dovuto lasciare la casa questo “abbia determinato nel suo animo, come dallo stesso più volte sottolineato, quel black-out emozionale ed esistenziale che lo avrebbe condotto a correre a prendere l’arma” a pochi metri di distanza e uccidere le due che “mai e poi mai” secondo quanto affermato dai testimoni sentiti in aula, aveva prima d’allora minacciato di morte. La concessione delle generiche considera la confessione, la sostanziale incensuratezza, il corretto contegno processuale e la “situazione che si era creata nell’ambiente familiare e che lo ha indotto a compiere il tragico gesto”. Nel giudicare l’equivalenza tra attenuanti e aggravanti non si può non tenere conto, per la Corte, “di tutta quella serie di condotte unilaterali e reciproche che, susseguitesi nel tempo e cumulativamente considerate” se pure non hanno integrato l’attenuante della provocazione “hanno senz’altro determinato l’abnorme e tuttavia causale reazione dell’imputato”.
Valente (Pd): “Motivazioni da manuale del patriarcato” – Sul caso interviene anche Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, secondo cui il provvedimento dei giudici “contiene elementi assai discutibili e certamente preoccupanti che, ove consolidati, rischierebbero non solo di produrre un arretramento nell’annosa lotta per fermare i femminicidi e la violenza maschile contro le donne, ma anche di aprire un vulnus nelle fondamenta che reggono il nostro ordinamento”. Per la ministra, “il problema non è la comminazione della pena, non è la sua entità, non sono le valutazioni processuali proprie dell’esercizio della giurisdizione. Ciò che colpisce è il ragionamento a monte che sembrerebbe aver orientato la Corte, per la quale, a quanto si legge, ‘la situazione che si era creata nell’ambiente familiare’ avrebbe ‘indotto’ l’imputato ‘a compiere il tragico gesto’, con la conseguenza di una ‘comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato’. Non credo sfugga a nessuno la pericolosità di ragionamenti di questo tipo, fondati su un nesso causale in grado di ‘indurre’ per motivi ‘umanamente comprensibili’ una duplice uccisione. Se si affermasse un principio di questo tipo – conclude Roccella -, lo sforzo di promozione di quel cambiamento culturale che tutti vogliamo non compirebbe certo un passo avanti ma ne farebbe molti indietro”. E il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, si domanda “come possa esserci ‘un motivo umanamente comprensibile’ per uccidere a fucilate due donne, una madre e una figlia, perché io davvero non riesco a capirlo. Non ho davvero parole”.
Durissima anche la senatrice del Pd Valeria Valente della Bicamerale Femminicidio, secondo cui il provvedimento dei giudici è da ‘manuale del patriarcato’. “Due le gravi questioni di merito – prosegue Valente – La prima riguarda l’attitudine di confondere la violenza contro le due donne e di derubricarla a conflitto familiare: come Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio abbiamo rilevato che è una prassi diffusa. In questo caso è come dire che Gabriela Trandafir, la moglie vittima di femminicidio, chiedendo al marito di andarsene di casa abbia in qualche modo provocato la reazione violenta di lui. Tanto è vero che si parla di ‘black out emotivo’ di lui, mentre non sono stati considerati i precedenti maltrattamenti. È questa la ‘lente del patriarcato’, il pregiudizio con cui alla fine si giustifica la violenza maschile. È per questo, e arriviamo alla seconda questione, che in caso di femminicidio chiediamo da sempre, al netto delle ultime sentenze della Corte costituzionale, di introdurre il divieto di bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, divieto che peraltro la destra sta inserendo nel ddl sicurezza per la resistenza a pubblico ufficiale. Non ci stancheremo mai di ripetere che per riconoscere la violenza contro le donne e leggerla in modo giusto, andando oltre stereotipi e pregiudizi, occorre formazione specifica per tutti gli operatori della giustizia”. Interviene sul caso anche la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera Luana Zanella, che contesta la “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”. “Non capiamo cosa ci sia da comprendere nell’inarrestabile strage di donne commessa dalla violenza maschile, se non che c’è molto lavoro da fare per abbattere i sedimenti di una cultura patriarcale che emerge anche là dove non ti aspetti e da parte di chi ha strumenti e poteri per contrare questo orribile fenomeno”, ha dichiarato Zanella.