A Doha si è arrivati a una svolta. Il 9 gennaio era stato il segretario di Stato americano, Antony Blinken, a dichiarare pubblicamente che un accordo per il cessate il fuoco a Gaza era molto vicino. Nelle ultime ore sono arrivate importanti conferme: lo dicono i media israeliani che forniscono anche alcuni dettagli di quella che sempre più soggetti definiscono un’intesa imminente; lo dice il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Gideon Saàr, che ha parlato di “progressi” e ribadito il protrarsi dell’intenso lavoro per giungere a un accordo; lo dice anche Hamas che in un comunicato ha ribadito “il desiderio di raggiungere un accordo per porre fine alla guerra”. E in serata lo ha confermato anche la Casa Bianca, dopo il colloquio tra Joe Biden e l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani: “Siamo vicini a un accordo e possiamo raggiungerlo questa settimana”, ha detto il consigliere per la Sicurezza nazionale Jack Sullivan. E il presidente lo ha ribadito: “Accordo sul punto di essere chiuso”. Manca solo una voce: quella di Muhammad Sinwar, fratello dell’ex capo di Hamas Yahya Sinwar, ucciso a ottobre dall’esercito d’Israele nella Striscia.
“La svolta è arrivata dopo i colloqui avvenuti nella notte tra il capo del Mossad David Barnea, il primo ministro del Qatar al Thani e l’inviato di Trump in Medio Oriente Steve Witkoff“, dicono le fonti. Nelle ore cruciali delle trattative sono circolati alcuni dettagli sulle richieste dell’una e dell’altra parte. La più importante è quella di Israele che, come già nei mesi scorsi, ha ribadito la volontà di creare una zona cuscinetto di circa 1,5 chilometri lungo il confine di Gaza che rimarrà sotto il controllo israeliano, secondo quanto riportato dal Times of Israel. Si tratterebbe del margine di protezione più volte invocato da Tel Aviv per prevenire altri attacchi via terra come quello del 7 ottobre 2023. Una richiesta sempre respinta dalla controparte palestinese, contraria alla concessione di territorio da far occupare alle forze militari dello Stato ebraico. In precedenza, un’area di 300 metri era stata considerata come zona cuscinetto: sebbene non vi fosse alcuna presenza delle Idf, c’era un accordo secondo cui le truppe avrebbero sparato a coloro che fossero entrati in quel territorio.
In cambio Israele dovrà comunque abbandonare la Striscia di Gaza. Un processo che avverrà in più fasi, come evidenzia anche il quotidiano Al-Quds Al-Arabi. Nelle prime due tranche di questo ritiro, in parallelo, dovrebbe avvenire anche la liberazione sia dei rimanenti ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas sia quella di migliaia di prigionieri palestinesi imprigionati nelle carceri di Israele. Tel Aviv ha precisato di aver bisogno di sapere quanti degli ostaggi siano ancora vivi prima di accettare un numero sui palestinesi da liberare, ma su uno di loro ha già messo il proprio veto: l’ex leader del braccio armato di al-Fatah, Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli e che potrebbe risvegliare l’entusiasmo dei militanti più laici. Motivo per cu la sua liberazione non è ben vista non solo da Israele, ma nemmeno dalla leadership di Fatah e di Hamas per paura che possa attirare consensi e, di conseguenza, toglierli agli altri leader. Il veto, però, non ha colpito solo Barghouti, ma anche altri nove leader, tra cui Ahmad Saadat, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che ha progettato l’assassinio del ministro israeliano Rehavam Zèevi nel 2001, insieme ad altri alti membri militari di Hamas e del Jihad Islamico. Per evitare una crisi nei negoziati, le parti hanno concordato che il rilascio dei detenuti sarà discusso dopo il completamento della prima fase dell’accordo.
Il clima, nonostante i punti ancora da far combaciare, rimane però positivo. Secondo Channel 12 “i dettagli dell’accordo per la liberazione degli ostaggi sono stati concordati e ora si attende una risposta definitiva da parte di Hamas”. Il piano prevede un accordo in tre fasi che inizierebbe con la liberazione di circa 34 israeliani della ‘lista umanitaria’. Poi, il 16esimo giorno del cessate il fuoco, le parti inizieranno a discutere la seconda fase che prevederà il ritorno dei giovani e dei soldati. Nella terza fase le parti discuteranno del governo alternativo nella Striscia e della riabilitazione di Gaza. Al-Arabiya aggiunge che la prima fase durerà 42 giorni, durante la quale Israele si ritirerà da diverse aree dove i residenti palestinesi ritorneranno, con anche un aumento del volume degli aiuti umanitari.
“I negoziati su alcune questioni fondamentali hanno fatto progressi e stiamo lavorando per concludere al più presto ciò che resta da fare”, hanno confermato fonti di Hamas. Mentre informatori israeliani dicono che nel partito armato palestinese si sta in realtà attendendo il via libera di Sinwar. In un comunicato, il Movimento Islamico di Resistenza ha lanciato un messaggio al proprio popolo e a tutti i prigionieri nelle carceri israeliane che fa ben sperare sul raggiungimento di un’intesa: “Rinnoviamo il patto con il nostro popolo fedele e paziente e con i nostri eroici prigionieri nelle prigioni e affermiamo che abbiamo un appuntamento con la loro imminente liberazione”.
È chiaro che una tregua a Gaza permetterebbe a Hamas di riorganizzarsi e anche di cercare di arruolare nuovi combattenti, dato che tra gli oltre 46mila morti nel massacro israeliano nella Striscia ce ne sono alcune migliaia che erano miliziani del partito armato. Quindi, come scrive il Wall Street Journal, è stata lanciata un’intensa campagna di reclutamento di giovani miliziani su ordine proprio di Mohammad Sinwar. “L’Idf – si legge sul quotidiano – ritiene che Hamas abbia reclutato molte centinaia di persone negli ultimi mesi e che il reclutamento stia avvenendo in tutta la Striscia, in particolare al Nord. Fonti arabe affermano che Israele è stato informato di questo numero che potrebbe arrivare a migliaia”. Hamas convince i giovani ad arruolarsi promettendo loro cibo, aiuti e cure mediche per loro e per le loro famiglie.