Torno a parlare di Giuliano Scabia (1935-2021), una delle figure più singolari e importanti del teatro italiano nel secondo Novecento, per un vero e proprio evento editoriale che lo riguarda. Infatti, con l’uscita del primo, ha preso avvio presso l’editore Marsilio la pubblicazione in sei volumi dell’intera sua produzione drammatica, da lui stesso organizzata nel Ciclo del Teatro Vagante, composto di ben 102 titoli.
L’impresa è promossa dalla Fondazione Scabia e dal Teatro Metastasio di Prato. La cura è di Massimo Marino, con la supervisione scientifica di Valentina Valentini (Giuliano Scabia, Teatro nello spazio degli scontri 1964-1971, Marsilio, 2024, 902 pp.).
Come ricordavo nel post precedente, Scabia irrompe sulla scena del nostro Paese alla metà degli anni Sessanta con testi estremamente originali nella forma (che guarda alle esperienze dell’avanguardia primonovecentesca, in particolare russa), e provocatori nei contenuti (fortemente seppur fantasiosamente critici nei confronti della società, del potere politico e dell’istituzione teatrale del tempo): da Zip (1965) a Scontri Generali (1969), a Commedia armoniosa del cielo e dell’inferno (1971).
Decisiva, fin dalle prime prove sotto l’influenza del musicista Luigi Nono (Diario italiano e All’improvviso), è l’idea di un rivoluzionamento dello spazio teatrale, da investire totalmente. In linea, se si vuole, con le più avanzate sperimentazioni internazionali di quegli anni (dall’americano Living Theatre al Teatr Laboratorium polacco). Con queste “commedie” Scabia (in coppia per qualche anno con il regista Carlo Quartucci) fornisce un contributo significativo al formarsi di un movimento teatrale, che al convegno di Ivrea del 1967 si riconoscerà come Nuovo Teatro.
L’immagine guida del Teatro Vagante appare molto presto, nella didascalia d’apertura della Commedia armoniosa. E già nel 1974, in un intervento sulla rivista “Sipario”, troviamo l’idea di “un ciclo, o sistema drammaturgico, incentrato attorno all’immagine ricorrente del Teatro Vagante”.
Pensare i propri testi come appartenenti a un ciclo è già di per sé originale e ambizioso, ma lo diventa molto di più nel momento in cui Scabia decide che esso accoglierà non soltanto le commedie regolari, per così dire, ma anche tutte le varie altre, ed eterogenee, forme di scrittura per il teatro che si trova a inventare nel corso della sua attività artistica. Soprattutto dal momento in cui, alla fine degli anni Sessanta, abbandona definitivamente l’Istituzione teatrale per dedicarsi, solitario ed errante appunto, a un teatro “a partecipazione”, di cui aveva intravisto le possibilità nel corso del grande esperimento di decentramento condotto a Torino in pieno “autunno caldo”.
I primi “schemi vuoti”, sorta di canovacci o tracce per azioni teatrali future in un determinato luogo, Scabia li sperimenta nel 1969, “in collegamento con situazioni di lotta politica a Milano” (Marino), e li possiamo leggere in questo volume: Il Grande Pupazzo (il Totem) e Il Grande Funzionario (il Presidente).
E’ uno strumento, quello dello “schema vuoto”, che egli affina subito dopo, durante i mesi del lavoro nei quartieri operai torinesi fra ’69 e ’70 e, due anni dopo, con Quattordici azioni per quattordici giorni, esperienza realizzata a Sissa, un paesino in provincia di Parma, con i bambini di una seconda media. Nel volume Teatro nello spazio degli scontri (1973), da cui l’attuale mutua il titolo, oltre allo schema vuoto, Scabia pubblica anche il diario dell’esperienza, chiamato “schema pieno”. Ecco emergere ancora un’altra tipologia di scrittura per il teatro, il diario-racconto, all’interno della quale nasceranno veri e propri “gioielli” narrativi, come Il Gorilla Quadrumàno (1975) e soprattutto Marco Cavallo (1976), sul celebre intervento nell’ospedale psichiatrico di Trieste diretto da Franco Basaglia, che troveranno posto nei prossimi volumi.
Negli anni il ciclo cresce sempre di più accogliendo non soltanto commedie regolari, schemi vuoti e racconti-diari, ma anche “brevi folgorazioni poetiche teatrali, radiodrammi, narrazioni per affabulazioni da farsi in luoghi vari, scritti di poetica ugualmente rappresentati in letture in pubblico, operine dialogate che Scabia invia agli amici come auguri per il nuovo anno” (Marino). Sempre nel segno del motto di Gombrowicz, che ben presto inizia a fargli da guida: “Colui con cui canti modifica il tuo canto”.