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Cronaca

Ultimo aggiornamento: 20:24 del 26 Settembre 2024

La nave di Medici senza frontiere bloccata a Genova dal decreto Piantedosi: “Un’assurdità, favoriscono i respingimenti dei libici”

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Hanno fatto un primo salvataggio e, nel giro di poche ore, un secondo lungo la rotta di sbarco verso il porto di Genova assegnato per lo sbarco dalle autorità competenti. Così l’equipaggio della nave per la ricerca e soccorso Geo Barents di Medici senza frontiere, dopo essere stato minacciato dalla “guardia costiera” libica e aver effettuato due soccorsi portando in salvo 206 persone, ha subìto martedì un fermo amministrativo ai sensi del decreto Piantedosi per “non aver eseguito gli ordini delle autorità libiche”, quelle armate, equipaggiate e finanziate dall’Italia e dall’Unione europea per pattugliare ed effettuare respingimenti collettivi di richiedenti asilo, pur in aperta violazione del diritto internazionale. A questo primo fermo di 60 giorni si aggiunge un secondo ordine di fermo, esito di una dettagliatissima ispezione del Controllo dello Stato di approdo (PSC) sulla nave alla ricerca di carenze tecniche. “È la quarta volta che la nostra nave di ricerca e soccorso subisce un fermo per aver adempiuto all’obbligo legale di salvare vite in mare – spiega Medici senza frontiere nell’annunciare il ricorso al provvedimento, ritenuto punitivo e illegittimo – Le autorità italiane continuano a dare credibilità alla Guardia Costiera libica, accusata dall’ONU e da altre ONG per i diritti umani di commettere crimini contro l’umanità“.

A bordo della Geo Barents, ormeggiata a Genova, la responsabile ricerca e soccorso di Msf Fulvia Conte ripercorre con ilFattoQuotidiano.it questo ultimo episodio: “È incredibile constatare che chi come noi è in mare per garantire il rispetto del diritto internazionale – spiega – debba costantemente giustificare il proprio operato di fronte a chi, come l’Italia, ha ratificato queste stesse norme di diritto internazionali che ostacola quotidianamente finanziando e alimentando il business dei centri di detenzione in Libia dove vengono riportate le persone respinte in un ciclo continuo di abusi e violenze”.

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