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“I Paesi dell’Unione europea non possono rifiutarsi di riconoscere i cambiamenti di genere”: la sentenza della Corte Ue

“I Paesi dell’Unione europea non possono rifiutarsi di riconoscere i cambiamenti di genere”: la sentenza della Corte Ue
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“Il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere i cambiamenti di nome e di genere acquisiti in un altro Stato membro è contrario ai diritti dei cittadini dell’Unione”. E’ quanto si legge nel parere dell’Avvocatura generale della Corte di Giustizia Ue in merito al caso di un cittadino romeno registrato di sesso femminile alla nascita ma che, dopo essersi trasferito nel Regno Unito e acquisito cittadinanza britannica senza perdere quella romena, ha cambiato nome e genere. Le autorità romene, successivamente, non hanno riconosciuto questo cambiamento. Il caso risale al 2017, prima della Brexit.

Fondandosi sul suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione, il cittadino romeno in questione ha chiesto a un tribunale di Bucarest di ordinare l’adeguamento del suo atto di nascita al suo nuovo prenome e alla sua identità di genere riconosciuta in via definitiva nel Regno Unito. Tale tribunale ha chiesto alla Corte di giustizia se la normativa nazionale su cui si basava la decisione di diniego delle autorità rumene sia conforme al diritto dell’Unione e se la Brexit abbia un impatto su tale causa.

L’avvocato generale Jean Richard de la Tour ha osservato innanzitutto, “che i fatti all’origine alla controversia di cui è investito il giudice rumeno si sono verificati prima della Brexit o durante il periodo di transizione ad essa successivo. I documenti emessi nel Regno Unito devono quindi essere considerati come quelli di uno Stato membro dell’Unione ai fini della valutazione della domanda del tribunale”. Inoltre, l’Avvocatura ritiene che “il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione e il diritto al rispetto della loro vita privata ostino a che le autorità di uno Stato membro rifiutino di riconoscere e iscrivere nei registri dello stato civile il prenome acquisito da un cittadino di tale Stato membro in un altro Stato membro di cui è parimenti cittadino. Lo stesso vale per il rifiuto da parte di tali autorità di riconoscere l’identità di genere acquisita dal cittadino in questione in tale altro Stato membro e di iscriverla senza alcun procedimento nel suo atto di nascita”. L’avvocato generale ha sottolineato infine che “gli Stati membri restano competenti a prevedere, nel loro diritto nazionale, gli effetti di tale riconoscimento e di tale iscrizione in altri atti di stato civile nonché in materia di matrimonio e di filiazione”.

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