Ancora una volta Fabio Pinelli, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, viola la prassi istituzionale e vota sulla nomina del vertice di un ufficio giudiziario. E ancora una volta il suo voto è decisivo per far vincere il candidato gradito al centrodestra. A beneficiarne, in questo caso, è una giudice assai vicina alla politica: Caterina Chiaravalloti, 61 anni, presidente del Tribunale di Latina e figlia di Giuseppe, governatore della Calabria per Forza Italia dal 2000 al 2005 (imputato in vari processi da cui è uscito sempre assolto). Chiaravalloti, esponente della corrente conservatrice di Magistratura indipendente (assai vicina all’attuale governo) è stata nominata mercoledì dal plenum a capo della Corte d’Appello di Reggio Calabria, superando l’altra candidata Olga Tarzia (presidente di sezione e attuale reggente dell’ufficio) solo grazie al sì dell’avvocato leghista, che in caso di parità vale doppio. La stessa dinamica, inedita fino alla scorsa consiliatura, si è già verificata in occasione di altre due nomine: quella del procuratore di Firenze, quando il “soccorso” di Pinelli consentì di far prevalere Filippo Spiezia, e quella della presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, quando spostò gli equilibri in favore di Concettina Epifanio. Entrambi nomi che per un motivo o per l’altro erano caldeggiati dalla maggioranza di governo (nel caso di Firenze anche dai renziani). Stavolta il vicepresidente, abbandonando del tutto il suo ruolo di garanzia (fa le veci, è bene ricordarlo, del capo dello Stato Sergio Mattarella) si è persino lanciato in una lunga dichiarazione di voto, cantando le lodi di Chiaravalloti e del suo “coraggio” nel lasciare la natia Calabria per trasferirsi a Latina, in contrapposizione alla lunga permanenza a Reggio della sfidante Tarzia, che – ha detto – potrebbe dare origine a impropricondizionamenti“. Un’uscita che ha provocato sconcerto in parecchi consiglieri.

La neo-presidente della Corte d’Appello, d’altra parte, ha rapporti saldi con l’attuale maggioranza e in particolare con Forza Italia. Nel 2019 rischiò di seguire le orme del padre: il suo nome uscì come potenziale candidatura del centrodestra alla presidenza della Calabria, salvo poi essere superato da Jole Santelli. Soprattutto, dalle chat sequestrate a Luca Palamara – l’ex ras della corrente UniCost radiato dalla magistratura – è emerso come la nomina di Caterina Chiaravalloti a capo del Tribunale di Latina, deliberata dal Csm nel 2017, fosse stata sponsorizzata con molta insistenza dall’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati, attuale ministra forzista delle Riforme, ai tempi del suo mandato da consigliera a palazzo Bachelet. “Laura era presidente di Rieti fino a che la Casellati non ha imposto a tutti quella a Latina… con Magistratura indipendente al suo fianco e tutti i laici”, scriveva a Palamara il suo ex compagno di corrente Marco Mancinetti. E riferisce le lamentele dei colleghi del Tribunale pontino: “La presidente la vedono ben poco… si lamentano”. L’ex pm dice di non avere dubbi sulla sua inadeguatezza, ma chiarisce che la responsabilità della nomina è di “Casellati, Forza Italia”. Circostanza confermata da un’altra chat: “Così facciamo fare gli accordi ai napoletani su Cassino e consentiamo alla Casellati di piazzare la Chiaravalloti“, scrive. Ora, grazie a quel trampolino e all’assist di Pinelli, la magistrata ha avuto un altro scatto decisivo di carriera. A votare per lei, oltre al vicepresidente, sono stati tutti i consiglieri togati di Magistratura indipendente (compresa Margherita Cassano, prima presidente della Cassazione e membro di diritto) e i laici eletti in quota centrodestra, mentre per Tarzia si sono espressi i laici di Pd, 5 stelle e Italia viva, i togati progressisti di Area, i “moderati” di UniCost, Mimma Miele di Magistratura democratica (Md) e l’indipendente Roberto Fontana. L’altro togato indipendente, Andrea Mirenda, ha scelto di assentarsi pur avendo votato a favore di Chiaravalloti in Commissione, per sottrarsi – spiega – “all’enfasi patologica che su questa nomina si era creata”.

Sulla vicenda interviene con un duro comunicato l’esecutivo di Magistratura democratica, storica corrente di sinistra: “Dopo la Procura di Firenze e la presidenza della Corte d’Appello di Catanzaro, nuovamente il vicepresidente recede dal suo essenziale ruolo di garanzia, incidendo in modo decisivo sugli esiti delle nomine, con preferenze che si allineano sempre a quelle dei consiglieri laici espressi dalla maggioranza parlamentare. Dopo lo scandalo del 2019, quale Consiglio superiore contribuisce a costruire questa prassi? La magistratura deve rivendicare con fermezza un esercizio della discrezionalità consiliare basato su regole chiare e trasparenti, riscontrate dalla motivazione, non orientato dalle
maggioranze e dalle appartenenze, o dalle interferenze politiche”, si legge. Per Md episodi come questi smentiscono “la tesi per cui il magistrato che esprime le sue opinioni nel dibattito pubblico non appare imparziale, ma potenzialmente ideologizzato e coinvolto nel perseguimento di un disegno politico: l’attualità ci dimostra che il rischio dell’interferenza della politica arriva da tutt’altra direzione. Auspichiamo per il futuro”, conclude la nota, “il recupero del ruolo di garanzia del vice presidente del Csm, insieme al giusto rispetto per i magistrati che svolgono il loro servizio in territori come quello calabrese, che in prima linea, con i loro sacrifici e la loro determinazione, si pongono a presidio della legalità, un presidio che a volte dura una vita intera e che rappresenta, questo sì, una garanzia, non un rischio di condizionamento”.

Critico verso le parole di Pinelli anche Area, l’altro gruppo della magistratura progressista: “Dedicare una vita professionale a lavorare in territorio di mafia è di ostacolo al conferimento di una funzione direttiva in quel territorio? Ieri in Plenum, per la presidenza della corte d’appello di Reggio Calabria, il vicepresidente del Csm ha espresso il proprio voto, ancora una volta decisivo, per Caterina Chiaravalloti, preferendola a Olga Tarzia, che lavora e ha sempre lavorato in quel distretto. Tra gli argomenti spesi nella sua dichiarazione di voto, ha sottolineato i rischi di interferenze nell’esercizio delle funzioni che possono derivare dal radicamento in territori di criminalità organizzata. Lavorare in terra di mafia non può esporre a un tale generico, quanto ingeneroso pregiudizio. Siamo anzi convinti che i sacrifici personali e professionali dei colleghi che operano in quelle realtà meritino la massima riconoscenza di tutti“, scrivono i consiglieri Maria Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli, Antonello Cosentino e Tullio Morello.

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