Giovedì sera la doccia fredda. Poche ore prima Matteo Salvini aveva orgogliosamente presentato il suo progetto di condono edilizio, una sanatoria, la 19esima dell’era Meloni, che avrebbe potuto riguardare fino all’80% delle abitazioni italiane. Ma, intervenendo a Porta a Porta, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni così ha commentato: “Salvini mi accennò qualcosa diverso tempo fa, poi ho visto che oggi ha ribadito che sta lavorando a questa norma ma non la conosco, non sono in grado esprimere giudizio. Ho letto il comunicato del ministero dei Trasporti che parla di sanare piccole difformità interne, cioè se hai alzato un tramezzo per fare due stanze dove ce ne era una. Se è questo parliamone, è ragionevole, ma non posso ragionevolmente commentare una norma che non ho letto”.

Sulla stessa linea l’altro alleato nella coalizione di governo. “Non conosco la proposta, ma devo dire che è già incardinata al Senato una proposta di Forza Italia sulla rigenerazione urbana che già prevede le cose di cui ha parlato Salvini”, dice venerdì Antonio Tajani di Forza Italia. “Non si può fare un condono ma si possono sanare alcune cose che non provocano alterazioni sostanziali agli edifici. Se la proposta della Lega va nella nostra direzione ben venga ma non conosco assolutamente il testo e credo che nessuno l’abbia mai visto. Lo valuteremo quando sarà presentato”, aggiunge. Se quella degli alleati non è una bocciatura tout court, poco ci manca.

Tutto da vedere quindi se il progetto di Salvini (molto apprezzato dai costruttori) vedrà la luce così come concepito. Il ministro leghista si è fatto vanto di passare sopra come una ruspa a tutte le regole ambientali che attengono al comparto edilizio. In un paese dove gli abusi sono peraltro da sempre all’ordine del giorno. Il piano di Salvini prevede di mandare in soffitta (condonata pure quella, probabilmente) potenziali contenziosi di varia natura. Ad esempio una casa i cui spazi interni non corrispondono con la planimetria, come un tramezzo spostato o una finestra posizionata diversamente. Oppure un immobile datato il cui titolo edilizio non è reperibile. O ancora interventi fatti prima del 1977 quando non esisteva il concetto di “variante in corso d’opera”. Difformità edilizie o formali, dunque, ma anche situazioni di non totale certezza da ricondurre entro un quadro di regolarizzazione. Vediamo un po’ meglio le casistiche possibili.

Difformità edilizie interne – Il caso di un’abitazione con una disposizione degli spazi diversa dalla planimetria: come può essere un muro spostato, un soppalco o una finestra posizionata in diversamente. Si valuta anche il tema delle tolleranze costruttive, con l’ipotesi di riparametrare in misura inversamente proporzionale alle dimensioni dell’unità immobiliare la percentuale del 2% quale limite al rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie e di ogni altro parametro edilizio.

Difformità formali – Può succedere, soprattutto per immobili datati, che manchi l’ultimo titolo edilizio, che costituisce lo stato legittimo dell’immobile. A legislazione vigente è già possibile avvalersi di altri riferimenti documentali, come titoli d’acquisto (rogito o planimetria), oppure rilevamenti fatti con i sorvoli. Le norme allo studio dovrebbero facilitare l’accertamento dello stato legittimo dell’immobile anche nel caso in cui non esistano altri elementi, mediante Scia (Segnalazione certificata di inizio lavori) in sanatoria e il pagamento di una sanzione.

Difformità sanabili in passato ma non oggi – È il caso delle modifiche che potevano essere sanate quando venne realizzato l’intervento, ma che oggi, ma anche di sanare quelli non conformi all’epoca ma conformi oggi. Ad esempio una casa costruita con una metratura più ampia rispetto al titolo edilizio: quando venne fatto era possibile, ma oggi lo strumento urbanistico vigente non lo consente più. L’intervento mira a superare il principio della “doppia conformità”, consentendo di sanare i manufatti conformi all’epoca ma non oggi.

Regolarizzazioni ante 1977 – Per risolvere il problema delle “varianti in corso d’opera”, che prima del 1977 non erano disciplinate, la soluzione allo studio è di consentirne la regolarizzazione mediante Scia e pagamento delle sanzioni. Sono immobili costruiti più di 47 anni fa con variazioni rispetto al titolo originario: possono essere piccoli interventi come lo spostamento di una finestra, ma anche interventi di maggior rilievo come la costruzione di un piano in più rispetto a quello previsto dall’allora titolo edilizio. Se all’epoca la variazione non era normata e quindi non costituiva necessariamente abuso, il problema potrebbe porsi ad esempio nel caso di una compravendita. L’obiettivo è di consentire comunque di sanare la modifica, correggendo così una situazione di incertezza.

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