Lo scorso anno sulle imprese private italiane sono piovuti aiuti e sussidi per oltre 55 miliardi di euro. È circa 7 volte la spesa complessiva annua per il reddito di cittadinanza, accusato da Confindustria di trasformare l’Italia in un “sussidistan” e prontamente abolito dal governo Meloni. L’Istat scrive che nel 2023 le imprese italiane “hanno continuato a beneficiare di importanti misure a sostegno dell’attività produttiva, ricevendo 23,8 miliardi di euro di contributi alla produzione (-12,1% rispetto al 2022) e 31,4 miliardi di euro di contributi agli investimenti, di cui una componente significativa è relativa al Piano Transizione 4.0. Risorse che quindi arrivano sia dall’Italia che dall’Ue.

Qualcosa sarà arrivato anche pescando dai soldi delle tasse pagate dalle famiglie. Sempre l’Istat scrive che le imposte correnti pagate dalle famiglie italiane sono aumentate di 24,6 miliardi di euro (+10,7% rispetto al 2022) per la crescita dell’Irpef (+10,2%) e delle ritenute sui redditi da capitale e sul risparmio gestito (+23,0%). “Il saldo degli interventi redistributivi nel 2023 – scrive l’istituto statistico – ha sottratto alle famiglie 118,8 miliardi di euro”, 16,5 in più rispetto al 2022. Per le imprese, le imposte sulla produzione segnano un aumento di 2,2 miliardi di euro (+7,5%).

Del resto da sempre, da quando si tratta di battere cassa, gli industriali italiani non sono secondi a nessuno. Non c’è bisogno di tornare ai “fasti” dell’Iri, che interveniva a soccorrere tutte le grandi imprese private in difficoltà accollandosi i rami d’azienda in crisi. Come la Teskid comprata dall’Iri da Fiat, strapagandola per fare un favore agli Agnelli o al rifiuto opposto all’offerta di Ford per rilevare Alfa Romeo (all’epoca pubblica) sempre per tutelare il “padrone-produttore” unico italiano. L’abitudine di aggrapparsi alle sottane di mamma Stato non è mai finita. Al ministero dello Sviluppo economico c’è persino un’intera task force dedicata esclusivamente agli incentivi alle imprese. Con flussi di denaro a favore del sistema industriale ininterrotti e non interrompibili. Generosi sostegni che durano da decenni e che hanno avuto un ruolo non secondario nell’aumento del nostro debito pubblico

Ogni anno decine di miliardi di euro finiscono nelle casse delle aziende sotto forma di sussidi alla produzione o alle esportazioni, incentivi fiscali e contributivi, oltre che sostegni agli investimenti. Denaro che talvolta viene distribuito a fondo perduto e talvolta viene parcellizzato sotto forma di agevolazioni fiscali ai contribuenti. Nel 2019, prima del Covid e della manna del Pnrr, erano stati 20 miliardi. Nel 2023 sono quasi tre volte tanto. Secondo Bankitalia, invece, nel 2018, la politica è stata ben più generosa, concedendo agli industriali almeno il doppio (40 miliardi) con 14 miliardi di contributi agli investimenti e 26 di aiuti alla produzione registrati nei bilanci delle amministrazioni centrali. Si spera almeno che di tutto questo denaro che diamo alle aziende venga fatto buon uso, a beneficio di tutta l’economia e la società italiane. I precedenti inducono ad un vigile pessimismo. L’industria italiana da sempre beneficia di un costo del lavoro relativamente basso e su questo ha costruito negli anni buona parte della propria competitività. Continua ad investire poco con capitali propri e a farlo ancor meno in ricerca e sviluppo, la strada maestra per accrescere la produttività. Pure la tassazione non è particolarmente feroce, pienamente in linea con quella delle paragonabili economie europee.

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