Quello che mi lascia stupita in questo periodo è il Silenzio. Il silenzio assordante dei cittadini, delle istituzioni, dei partiti politici. Silenzio che fa da contraltare al rumore delle bombe, al grido dei bambini sotto le macerie, alla propaganda di guerra che ci viene propinata ogni giorno.

Silenzio non in grado di formulare, neanche sottovoce, la parola pace, anche se la moltitudine silenziosa non è per la Guerra. Guerra che arricchisce pochi, impoverisce molti e distrugge vite, storie, culture, valori. Penso al nostro paese che, in nome del pareggio di bilancio inserito in Costituzione, ha compresso diritti incomprimibili secondo la Corte Costituzionale, quali il diritto alla salute, il diritto all‘istruzione, il diritto ad avere una vita dignitosa.

Sono aumentati i nuclei familiari in povertà assoluta, circa 8,9% della popolazione residente; sono più di 3 milioni gli italiani indebitati per l’aumento dei tassi di interesse sui mutui delle case e la metà degli italiani si rivolge alla sanità privata per poter ricevere una prestazione specialistica negata dal Servizio pubblico a causa delle lunghissime liste d’attesa. Servizio pubblico che il 43% degli italiani ha finanziato anche per coloro che reputano le tasse “pizzo di Stato”.

Temi, questi, scomparsi dall’informazione istituzionale; meglio mandare in onda il volo dei caccia italiani che hanno intercettato aerei russi nei cieli della Nato e gentilmente li hanno riaccompagnati al confine. Una narrazione dai toni pacati e rassicuranti tali da darci l’impressione di assistere ad un videogame e trasmetterci un senso di normalità rispetto ad accadimenti che normali non sono.

Per il 2024 l’Italia si appresta a spendere in armi ben 29 miliardi, lì dove sarebbero bastati un finanziamento di 5 miliardi l’anno per 5 anni per riportare il nostro Ssn alle performance pre pandemia. Evidentemente conviene più investire sulla morte che sulla vita, preferendo una “bella” guerra a una brutta pace. Con 5 miliardi l‘anno avremmo potuto abbattere le liste d’attesa assumendo più personale. Cinque miliardi l’anno avrebbero consentito investimenti sulla produzione farmaceutica nazionale al fine di ovviare alla sempre più persistente carenza di farmaci, alcuni salvavita; essere indipendenti sulla produzione farmaceutica e in grado di rispondere al fabbisogno farmacologico della popolazione renderebbe meno vulnerabile il sistema Paese.

Cinque miliardi l’anno ci consentirebbero di avere più ambulanze con medici a bordo.

Siamo passati dal concetto di “morti evitabili” al concetto di morti “accettabili”. Meno medici significa più morti, soprattutto per quelle patologie tempo-dipendenti. Il depauperamento degli organici di pronto soccorso e di quello delle ambulanze viaggia velocissimo: circa duemila medici in meno solo nell’ultimo anno. Questi numeri ci dicono che ogni due professionisti che abbandonano la professione, per condizioni di lavoro impossibili, troviamo una sostituzione solo per uno di essi.

Medici, infermieri e pazienti pagano il prezzo delle medesime carenze, tra attese infinite per un posto letto, strutture inadeguate e le difficoltà legate a personale numericamente insufficiente. Tutto ciò è e sarebbe stato ovviabile con adeguati finanziamenti, lì dove si è visto e toccato con mano che riforme del Ssn ad iso, o addirittura iporisorse (vocaboli molto cari ai vari legislatori succedutisi dal 2010 in poi), non hanno prodotto nulla se non il disastro più totale. E ora la ricetta per contrastare l’affollamento dei pronti soccorsi qual è? La risposta giusta sarebbe quella di incrementare il personale, incentivarlo, riorganizzare meglio il lavoro, ampliare il numero dei posti letto (siamo il paese in Europa con la percentuale di posti letto più bassa rispetto al numero di abitanti).

Invece la risposta sbagliata, ma sarà quella attuata da qui a poco, è mettere i medici di famiglia nelle case di comunità con il venir meno così della capillarità e prossimità degli ambulatori, che sono state, sinora, l’arma vincente dell’assistenza territoriale; oppure, peggio ancora, tenerli un po’ qui e un po’ li: negli studi periferici e nelle case di comunità, così come auspicato dal ministro della Salute. Vedremo in queste condizioni chi avrà voglia di lavorare ancora per il Ssn e quali poi saranno, se mai vi saranno, i vantaggi per i cittadini.

Speriamo che non sia un ulteriore passo verso la privatizzazione anche della medicina generale così come sta avvenendo in Gran Bretagna, sistema sanitario simile al nostro, dove è approdata una catena sanitaria norvegese che offre visite di base private al “modico “costo di 92 euro per un consulto di 15 minuti; il nostro Ssn offre ai medici di famiglia convenzionati 42 euro lordi annui a paziente, senza limitazioni di accesso per questi ultimi. Ricordiamocelo quando non sarà più così.

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