L’attentato che a Mosca ha fatto 137 vittime e provocato 180 feriti rischia di avere pesanti ripercussioni anche sulla vita dei lavoratori migranti dell’Asia Centrale e del Caucaso presenti sul territorio russo. L’arresto di quattro presunti attentatori di nazionalità tagica, mostrati al pubblico con i volti tumefatti e in pessime condizioni fisiche, ha infatti scatenato un’ondata di xenofobia che sta colpendo le persone dai tratti somatici che rimandano all’area centro asiatica o caucasica. Al punto da spingere il governo del Kirghizistan, stretto alleato del Cremlino, a diramare un avviso ai suoi cittadini, consigliando loro di non recarsi in Russia a meno di stringenti necessità. Sono numerosi i casi che stanno emergendo di migranti tenuti in custodia all’aeroporto per ore e ore dalle autorità senza alcuna apparente motivazione se non quella di provenire dalle repubbliche post-sovietiche che si stendono a sud della Federazione.

Per timore che un fenomeno di questo tipo si scatenasse, nelle ore immediatamente successive all’attentato il governo del Tagikistan si era affrettato a rilasciare dichiarazioni di vicinanza alla Russia e di smentita delle prime voci che avevano preso a circolare circa gli autori del massacro. Durante una conversazione telefonica con Vladimir Putin, inoltre, il leader del regime tagico, Emomali Rahmon, ha sottolineato che il terrorismo non ha nazionalità e che va combattuto in qualunque forma esso si presenti. Un tentativo di provare ad arginare l’ondata di xenofobia in arrivo, un fenomeno che già in tempi di normalità i lavoratori migranti sono costretti a subire. E non si tratta di numeri esigui: nel 2023, infatti, erano ufficialmente presenti in Russia 1,3 milioni di tagichi. Ma i dati reali potrebbero essere molto più alti, considerando anche che non vi è la necessità per chi proviene dal Tagikistan di ottenere un visto d’ingresso per recarsi nella Federazione. D’altronde spostarsi nei grandi centri urbani del territorio russo è spesso una scelta obbligata per i lavoratori provenienti dall’Asia Centrale che, con le rimesse inviate in patria, tengono sostanzialmente in piedi le fragili economie locali.

I casi di xenofobia che stanno emergendo, come detto, sono numerosi. Si va dai raid violenti compiuti dalle forze di sicurezza agli ordini del Cremlino per le strade e nei luoghi di ritrovo agli attacchi fisici compiuti da gruppi di cittadini russi in locali pubblici frequentati da stranieri, fino a licenziamenti in tronco di lavoratori provenienti dall’Asia Centrale e decine e decine di clienti che hanno rifiutato di salire in taxi guidati da migranti una volta scoperta la loro nazionalità. A questo si accompagna una crescente campagna di discriminazione e disinformazione, con notizie palesemente false che vengono diffuse con grande frequenza, che sta avendo luogo sui social network e che viene portata avanti anche da figure conosciute in Russia. Come nel caso di Nikolai Sevostianov, un commentatore politico filogovernativo che su un blog ha scritto un editoriale di fuoco contro i lavoratori migranti – definiti “un esercito nemico nelle nostre città” – articolo che è stato rilanciato anche dal noto giornalista Roman Antonovsky.

Si tratta di una situazione a cui l’ambasciata del Tagikistan ha provato a far fronte consigliando ai propri cittadini presenti nei centri urbani del paese di non uscire di casa. Allo stesso tempo, alcuni titolari di imprese hanno suggerito ai propri dipendenti provenienti dall’Asia Centrale di non recarsi al lavoro in questi giorni per evitare sia possibili attacchi sia potenziali raid indiscriminati. Il timore è però che, passata la prima fase a seguito dell’attentato al Crocus City Hall, a cambiare sia anche il clima istituzionale nei confronti dei lavoratori migranti, per i quali potrebbe essere reso estremamente complicato recarsi in Russia alla ricerca di fortuna. Va detto però che il loro arrivo non salva solo le economie di provenienza, ma tiene in piedi anche numerosi settori dell’economia nazionale russa, tra tutti l’edilizia e la ristorazione.

Allargando lo sguardo al conflitto in Ucraina, inoltre, potrebbe diventare sempre più pervasiva la politica di reclutamento forzato che già sottotraccia è portata avanti da Mosca. Al momento questa è implementata, da un lato, cercando di spingere i migranti ad arruolarsi sulla base della promessa di percorsi preferenziali di ottenimento della cittadinanza. Dall’altro, attuando detenzioni di gruppo in cui si viene messi di fronte al rimpatrio coatto o alla possibilità di essere immediatamente spediti sul territorio ucraino. Per calmare le fasce più radicali di popolazione russa, allo stesso tempo alimentando lo sforzo bellico in corso, Putin potrebbe essere spinto a perseguire una politica di arruolamento sempre più capillare o comunque a introdurre normative molto stringenti nei confronti degli espatriati provenienti dall’Asia Centrale e del Caucaso. Per i quali la vita in Russia potrebbe diventare a quel punto del tutto insostenibile.

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