Sta per arrivare al voto del Consiglio regionale del Lazio una proposta di Legge che darebbe il via libera alla pressoché indiscriminata trasformazione di scantinati, garage e magazzini parzialmente sotto terra in appartamenti, uffici, negozi.

La proposta era già stata avanzata dal centrodestra nel 2018, dall’opposizione, sulla falsariga di una legge regionale della Lombardia del marzo 2017. Allora non era passata, ma adesso che i firmatari sono nella maggioranza del presidente Francesco Rocca – Ciacciarelli, Lega, diventato assessore all’Urbanistica – il “recupero dei vani e dei locali seminterrati esistenti” è ritornato in auge, con qualche miglioramento rispetto alla versione precedente che però non cancella i rischi e le criticità.

Intanto perché per raggiungere le caratteristiche prescritte dalla normativa nazionale per i vani abitabili si può abbassare il solaio di calpestio e praticare aperture nelle murature perimetrali per garantire sufficienti finestre. Anche se il rapporto aeroilluminante tra superficie finestrata e superficie interna, che per legge non deve essere inferiore a 1/8, viene abbassato a 1/16. Vaghe e poco incisive le prescrizioni per l’accertamento della eventuale presenza del radon, un gas cancerogeno presente nel sottosuolo di molte zone laziali, così come quelle che dovrebbero limitare i cambi di destinazione degli immobili in aree a rischio idrogeologico, anche perché i comuni avrebbero solo 6 mesi per escluderle dal provvedimento, dopo scatterà automaticamente l’entrata in vigore.

Ed è ancora una volta mortificato il ruolo dei Comuni nella pianificazione del proprio territorio, come già per il famigerato Piano casa Polverini/Zingaretti e in parte per la Legge di rigenerazione urbana del 2017, dato che non possono mettere dei limiti a interventi che “sono sempre ammessi, anche in deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”. Persino Roma, a cui tutte le forze politiche assicurano di voler conferire poteri degni di una Capitale, può solo escludere “parti del territorio“, dovendo però motivare l’esclusione con parametri piuttosto ridotti, e saranno possibili le trasformazioni anche di vani abusivi, visto che è sufficiente che “sia stata presentata istanza di sanatoria”.

A Roma assisteremo a un’ulteriore riduzione dei garage, in una città che ne ha già un numero decisamente inferiore ai fabbisogni, e a una diminuzione degli standard urbanistici. Precario ostacolo a una conversione generalizzata dei seminterrati in immobili più remunerativi per vendita e locazione è l’introduzione dell’esclusione dei locali facenti parte di condomini superiori ad otto unità, ma chi segue da tempo le vicende immobiliari sa quanto sia facile allargare maglie apparentemente stringenti con qualche emendamento in provvedimenti successivi.

Si tratta quindi di una legge che ha solo controindicazioni, soprattutto per Roma, una città con un’altissima richiesta abitativa ma con un enorme numero di alloggi, anche di recentissima costruzione, inutilizzati: una legge che favorirà soprattutto i proprietari, che potranno affittare i seminterrati a studenti fuori sede o a immigrati disposti a vivere in condizioni non adeguate a fronte di affitti più bassi, o, nelle zone più pregiate, a turisti, come bed and breakfast; o che potranno destinarli a uffici e locali commerciali, nonostante la normativa vieti lo svolgimento di qualsiasi attività in locali seminterrati, salvo permessi in deroga quando ricorrano particolari esigenze tecniche.

Ma l’aspetto più paradossale è la giustificazione della proposta, più volte ribadita nell’articolato: il sempiterno appello alla “rigenerazione urbana”, con il “contenimento dei consumi energetici e delle emissioni in atmosfera – ma i prescritti “isolamento termico, risparmio idrico, ricorso a fonti rinnovabili e all’ edilizia biosostenibile” possono essere derogati in caso di “impossibilità” – e persino il “limitare il consumo di nuovo territorio attraverso un più efficace riutilizzo” , con l’aggiunta – addirittura – dell’obiettivo del “miglioramento della qualità della vita dei cittadini” per “promuovere o rilanciare territori soggetti a situazioni di disagio o degrado sociale ed economico“. Questo, più che “greenwashing” lo dovremmo definire “mondo alla rovescia”.

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