No, non ci dà nessuna soddisfazione poter dire “l’avevamo detto”. Il 22 novembre scorso Carteinregola aveva scritto a tutte le forze politiche chiedendo che la campagna elettorale per la Regione Lazio diventasse “un’occasione per allargare il dibattito alla città e ai cittadini attraverso un confronto che non doveva limitarsi alle componenti dei partiti o degli schieramenti”, ma che avrebbe dovuto “svolgersi pubblicamente, con una discussione aperta sulle questioni più importanti per i cittadini e per i territori, soprattutto dopo i preoccupanti dati sull’astensione delle recenti politiche” che rivelavano che “moltissimi elettori non avevano più fiducia in questa classe politica, né speranze nel cambiamento”.

Non è accaduto. Per niente.

Per settimane i partiti – i vertici, le correnti, le cordate – si sono confrontati solo tra loro, alle prese con il risiko elettorale che più che cercare di coinvolgere e convincere gli elettori delusi o disinteressati – o magari quelli di altre appartenenze politiche – dà l’idea di cercare di raccogliere il favore di un mosaico di gruppi specifici, a partire dalle categorie economiche piccole e grandi. Poi è partito il solito tourbillon fatto di agende fittissime di incontri nei luoghi dove “si va sul sicuro” e di quotidiane gallerie di scatti sui social con sorrisi a gogò, che forse accentuano ancora di più il distacco dalla vita reale delle persone.

Chi è andato a votare e chi non ci è andato? Anche senza analisi e dati, si può ipotizzare che l’astensione abbia dilagato in buona parte di quell’elettorato fluttuante dei cittadini che si sentono esclusi e arrabbiati, che ogni tanto si affidano a una proposta nuova oppure – con buone ragioni – puniscono quella del governo uscente, ma che spesso abbandonano i seggi insieme alle speranze. Molti astenuti anche tra le file del “voto d’opinione”: elettori che non si riconoscono più in nessuna forza politica perché delusi da tutte, soprattutto per lo scarso dialogo con la società civile. Diventa così determinante il voto degli “zoccoli duri” dei diversi partiti e quello delle categorie direttamente interessate ai provvedimenti regionali, che possono fare la differenza in molti campi: dalla sanità all’urbanistica, per citare i più rilevanti.

Certo l’astensionismo non pone problemi al centrodestra, che ha ottenuto più della metà delle preferenze, e che ora avrà una maggioranza solida – con il premio di 10 consiglieri in più – che potrà utilizzare per premere ulteriormente l’acceleratore su quei provvedimenti graditi alle “forze produttive” che hanno fortemente sponsorizzato in questi anni, spesso con successo (vedi per restare nelle battaglie di Carteinregola: proroga del Piano casa Polverini, parte della legge di rigenerazione urbana, riduzione del distanziamento delle slot machine dai luoghi sensibili, modifiche al Piano paesistico ecc).

Una prospettiva inquietante, che non ha trovato alcuna vera resistenza. Oggi i numeri non perdonano: il centrosinistra ha conservato i suoi voti, che nel 2018 avevano raggiunto il 32,92% al Presidente Nicola Zingaretti, con il 33% circa raccolto dal candidato Alessio D’Amato, ma il Movimento 5 Stelle, che aveva ottenuto il 26,98% di preferenze per Lombardi, oggi con Donatella Bianchi si ferma a circa l’11%. Percentuali che devono essere confrontate con il tracollo della partecipazione al voto passata dal 66,36% nel 2018 al 37,20%.

Ci si chiede perché i partiti che già sapevano di aver poche chances di vittoria (centrosinistra e Movimento 5 Stelle-polo progressista e Azione-Italia Viva) non abbiano provato a strappare il copione perdente e tentare qualcosa di nuovo già all’indomani delle elezioni politiche, che avevano mostrato plasticamente che aria tirava.

Tra pregiudiziali e veti incrociati, nessuno ha preso l’iniziativa, fin dalla fine di settembre, quando l’approdo in Parlamento del Presidente Zingaretti aveva accelerato la scadenza delle elezioni regionali, di aprire un confronto su punti programmatici comuni – del resto già inaugurati per il governo Conte II – ciascuno partendo da un confronto con la propria base e attraverso un dibattito pubblico, anche per far emergere davanti all’elettorato consonanze e divergenze. Così sarebbe diventato evidente chi aveva a cuore più il futuro delle persone che quello del proprio partito e della propria nomenclatura.

La nostra lettera ai partiti di novembre concludeva: “Oggi più che mai è necessario un segnale, da parte di tutte le forze politiche, della volontà di aprire una nuova stagione politica più vicino ai cittadini”. Il segnale non è arrivato. Ora i cittadini dovranno trovare altre strade, altri percorsi, altre strategie per sostenere e difendere l’interesse comune. Soprattutto altre sinergie tra le donne e gli uomini che hanno a cuore la difesa dei più deboli, la solidarietà, la tutela dell’ambiente, del Paesaggio, dei beni comuni e dei diritti. Andando oltre una classe politica che ha fallito su tutta la linea.

Ps. Naturalmente questa analisi non può essere calata indiscriminatamente su tutti coloro che si sono impegnati nella campagna elettorale. Ci sono stati molti esempi virtuosi di singoli candidati o di partiti minori che hanno portato avanti un dialogo con la società civile, anche prima delle elezioni, purtroppo con scarsa visibilità.

Articolo Precedente

Ruby ter, perché lo Stato chiedeva 10 milioni a Berlusconi: “Discredito planetario all’Italia. Lesione alla comunità rappresentata dal governo”

next
Articolo Successivo

Regionali, la sofisticata analisi di Calenda per il flop di Azione: “Hanno sbagliato gli elettori”

next