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Anna Cherubini, la sorella di Jovanotti nella stessa scuola di Emanuela Orlandi: “Quell’ambiente così austero mi inquietava, mi sentivo a disagio”. Le rivelazioni nel nuovo libro

Esce oggi per Solferino il volume di Anna Cherubini, sorella di Lorenzo in arte Jovanotti: anche loro padre Mario era un dipendente del Vaticano - GLI ESTRATTI IN ESCLUSIVA

di Alessandra De Vita

“Diventeremo amiche” ma non è successo perché il percorso di Emanuela Orlandi è stato spezzato all’uscita dalla scuola di musica in cui Anna Cherubini è entrata perché si era liberato un posto, il suo. “Hanno interrotto la sua musica”, racconta a FqMagazine la scrittrice e sceneggiatrice, in occasione dell’uscita del suo libro, pubblicato oggi per Solferino editore. Anna Cherubini abitava con la sua famiglia in Porta Cavalleggeri: il papà Mario – anche lui dipendente del Vaticano come il padre di Emanuela –, la madre Viola e i tre fratelli Bernardo, Umberto e Lorenzo in arte Jovanotti. La sua casa era appena fuori le mura leonine, a pochi passi di quella degli Orlandi. Le separava il colonnato del Bernini in cui i bambini in quegli anni correvano liberi. “Si stava tutti in Piazza San Pietro –ricorda – schizzandoci l’acqua delle fontane. Giocavamo a nascondino tra il colonnato. Mio padre diceva sempre che se Alì Ağca (l’attentatore di Papa Wojtyla) fosse scappato lì non lo avrebbero preso”.

Anche Anna studiava e suonava il pianoforte, uno Steinbach che il papà aveva acquistato di seconda mano da una cantante lirica. E fu proprio il padre a premere perché sua figlia si iscrivesse alla “Ludovico da Vittoria”, la stessa scuola frequentata da Emanuela e l’ultimo posto in cui è stata vista quel 22 giugno del 1983, prima che le sue tracce si perdessero in un mistero impenetrabile. “C’era un clima molto severo in quella scuola, ed era già di per sé strano che le classi fossero composte sia di ragazzine che di sacerdoti anche in là con gli anni”, ci spiega Anna che oggi ha lasciato Roma per trasferirsi a Cortona, la città di origine dei suoi genitori. “Quell’ambiente così austero mi inquietava, mi sentivo a disagio. Non c’era spazio per il confronto, sembrava vietato discutere. Per fortuna il mio liceo, il “Virgilio” era tutt’altro ambiente, molto di sinistra, pieno di punk e rockettari. Emanuela era diversa, voleva solo suonare, pensava solo alla musica e del resto se ne fregava. Non si parla mai di lei come una ragazza, l’indagine ha preso il sopravvento in una gara di scoop”.

Chissà cosa ne è stato della tua musica, si chiede l’autrice, tra le pagine di un libro in cui c’è nostalgia di un’epoca perduta, in cui i ragazzi si sedevano al muretto. Erano anni diversi, spensierati, si andava ai concerti di Baglioni in Villa Borghese, si metteva il primo lucidalabbra quando ancora non si chiamava gloss. Come accadeva ai Cherubini e agli Orlandi, i ragazzi i incontravano di tanto in tanto nei giardini del Fas (ambulatorio medico per laici ed ecclesiastici riservato del Vaticano), prima delle visite mediche, dove scambiavano due chiacchiere. “Non c’erano i cellulari, ci si osservava molto, di lei percepivo un’aria sicura ma non spavalda né civetta, semplicemente padrona di sé stessa. Emanuela aveva un’aura di serenità intorno, anche a scuola si diceva di lei che non era mai interessata ai pettegolezzi, era tranquilla, incapace di pensare male, forse questa cosa le ha giocato a sfavore. All’inizio non volevo prendere il suo posto alla Ludovico, non mi sembrò giusto, era settembre, tre mesi dopo la sua scomparsa. Poi, a gennaio Suor Dolores (reggente della scuola spesso intervistata in merito al caso Orlandi, nda) ricontattò mio padre, premendo perché accettassi, forse avevano capito non sarebbe più tornata, chissà. O semplicemente, la mia retta avrebbe fatto comodo per far quadrare il bilancio”, ci spiega Anna.

L’Emanuela che emerge dai racconti riportati in “Diventeremo amiche” è una ragazza che non si faceva mettere i piedi in testa, dolce ma protettiva. Una volta – dal raccontò la sorella citato nel libro – reagì in maniera molto forte a un bullo che tormentava una sua amica perché aveva gli occhiali spessi come fondi di bottiglia. “Voleva le cose giuste”, ci dice Anna. “Sapemmo di Emanuela da mio padre, pensammo subito a un rapimento. Quell’anno sparivano molte ragazze dal centro di Roma, si parlava di tratta delle bianche, sentivamo spesso questa frase, era un’idea diffusa e me lo diceva spesso anche mia madre. Nel nostro palazzo di parlava sempre di lei dopo quel giorno. La sentivo vicina, mentre andavo alla Ludovico da Vittoria e calpestavo gli stessi sanpietrini che mi portavano lì, in Sant’Apollinare”, ci racconta Anna che ha ripercorso i suoi stessi passi in quegli anni.

Nel libro scrive che anche lei ricevette una proposta per vendere prodotti cosmetici, come accadde a Emanuela il giorno della sua scomparsa…
“Ero in motorino con un’amica, al semaforo due tipi in moto accostarono e ci chiesero se avremmo voluto guadagnare vendendo cosmetici e profumi. Rifiutammo e ripartimmo spaventate, è successo un paio di giorni prima che Emanuela fosse rapita ma ciò non vuol dire le cose siano collegate. A casa neanche lo dicemmo, a quei tempi se ricevevi delle proposte fuori luogo ti sentivi in colpa, come se te la fossi andata a cercare. Ricordo che questa cosa dell’Avon non era ben vista dagli adulti. Non so se accaddero fatti brutti collegati a questa proposta ma ci raccomandavano sempre di rifiutare perché “vi adescano e vi portano in posti brutti”, ci dicevano. Forse era una diceria ma si pensava che adescassero ragazzine per far loro foto di nudo o per trascinarle in brutti giri”.

Ripercorrendo i suoi stessi passi, dalla scuola di musica al Vaticano, si è mai fatta un’idea di cosa può esserle accaduto?
“Sappiamo solo che è andata alla fermata del 70 in corso Rinascimento ma che non c’è salita. Per raggiungere il Palazzaccio dove aveva appuntamento con la sorella più piccola Cristina avrebbe dovuto girare a destra quel giorno, e invece uscita da scuola è andata nell’altra direzione. Ma Emanuela non era la tipa da lasciare la sorella da sola e darle buca, non lo avrebbe mai fatto, devono averla presa in quel momento. Tutto è successo in Corso Rinascimento, dov’è stata vista per l’ultima volta, quella sera di giugno. Si sarà fatta ingannare da due ragazzetti? Lo diceva anche il giornalista Andrea Purgatori che ho avuto la fortuna di incontrare pochi giorni prima che lo ricoverassero. Da lì a pochi giorni Andrea avrebbe avuto conosciuto il suo destino eppure trovò la forza di ricevermi. Magari Emanuela li conosceva, frequentando la scuola di musica in centro”.

Le avranno offerto un passaggio per raggiungere prima la sorella al Palazzaccio, è possibile?
“Non lo so, io al posto suo lo avrei accettato, erano tempi diversi, ci si conosceva e si interagiva più facilmente e se un ragazzo ti offriva uno strappo, perché no? Ma credo che lei non lo avrebbe fatto. Emanuela era una che andava dritta per la sua strada, non si faceva distrarre da niente. L’unica cosa che ha potuto trarla in inganno credo potesse essere un’offerta di lavoro, era una ragazza ligia al dovere”.

GLI ESTRATTI IN ANTEPRIMA ESCLUSIVA

Quando mi avevi parlato della scuola, la Tommaso Ludovico da Victoria, si capiva che eri determinata, si vedeva dal tuo sguardo intenso, sembravano note sul pentagramma i tuoi occhi neri. Per questo forse mi eri venuta in mente quando mia madre mi aveva detto che dovevo crescere libera e forte. Perché tu davi proprio quell’idea, e non aveva importanza se ti eri fatta dare due materie a settembre.

«Non voglio prendere il posto di Emanuela, è suo» dissi impaurita, timida, ma decisa. «Eravate amiche?» mi chiese la suora. «Sì» mentii. «Allora Emanuela sarebbe contenta.» «Prima volevano aspettarti, ora non volevano aspettarti più. Io dissi no, e ancora no. Non volevo entrare al tuo posto. «Va bene» disse la suora. Ma era un va bene simile a “ti perdi una grande occasione”. Litigai con mio padre per tutto il tragitto del ritorno. Dopo mesi di liceo Virgilio, con i suoi murales, le manifestazioni pacifiste, i collettivi frequentati dai punk coi capelli colorati, la sobrietà della scuola di musica, i suoi santi che ci guardano dalle pareti, mi avevano terrorizzato. Non volevo. No, non volevo. «Rivendo il pianoforte» rispondeva lui a ogni mio «Non voglio».

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