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San Benedetto, lo spot con Elisabetta Canalis arriva in tribunale: chiesti 1,5 milioni di euro per danni d’immagine. La controparte si difende: “Lite temeraria per ottenere il silenzio”

È atteso per metà marzo nel Tribunale di Venezia lo scontro tra la società presieduta da Enrico Zoppas e il sito “Il Fatto Alimentare” per alcuni articoli pubblicati nel 2022 circa la pubblicità dell'acqua San Benedetto con Elisabetta Canalis testimonial. Ecco che cosa è successo

di Emanuele Corbo

1,5 milioni di euro: a tanto ammonterebbero i danni denunciati da San Benedetto a causa di due articoli pubblicati da Il Fatto Alimentare ad agosto e ottobre 2022 riguardanti lo spot con protagonista Elisabetta Canalis che, dopo i rilievi dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap), è stato modificato nel suo contenuto. La testata online indipendente – che racconta il mondo dei supermercati, le insidie delle etichette, e pubblica le sentenze sulle pubblicità ingannevoli – si difende rivendicando il diritto di cronaca e lamenta di essere vittima di una lite temeraria. Ma facciamo un passo indietro.

LO SPOT DELLA DISCORDIA – La pubblicità in questione mostra Elisabetta Canalis che, al risveglio, si accorge di aver bruciato le fette di pane che avrebbero costituito la sua colazione. Niente paura però: la showgirl esce di casa portando con sé una bottiglietta di acqua minerale San Benedetto e si dirige in ufficio. Il sito di analisi sociale “Aestetica Sovietica” invia una segnalazione allo Iap chiedendo di intervenire in quanto lo spot può indurre a pensare che la colazione, il pasto più importante della giornata, possa essere saltato a favore della bottiglietta d’acqua, tanto più che si cita la presenza nella suddetta bevanda di nutrienti preziosi come calcio e magnesio. Lo Iap accoglie l’istanza e precisa a Il Fatto Alimentare – come si legge sulla testata stessa – che la società presieduta da Enrico Zoppas si è impegnata a “elaborare una nuova comunicazione che possa superare gli aspetti critici rilevati”. Ecco quindi che lo spot torna in onda in una versione diversa e la scena iniziale scompare.

LA POSIZIONE DI SAN BENEDETTO – I due articoli che il sito dedica alla vicenda, però, secondo San Benedetto avrebbero procurato danni da 1,5 milioni di euro. La testata diretta da Roberto La Pira sottolinea che non sono state raccontate fake news: semplicemente hanno presentato un resoconto dei fatti. Eppure la vicenda non si chiude qui. Dopo 7 mesi dalla pubblicazione degli articoli, infatti, San Benedetto cita in giudizio Il Fatto Alimentare chiedendo al tribunale di Venezia il ritiro dei pezzi sotto accusa. È agosto del 2023 quando il giudice boccia la richiesta. L’azienda non si arrende e presenta un altro ricorso che a ottobre dello stesso anno viene nuovamente respinto. Il tribunale ritiene illecita la richiesta di censura perché violerebbe l’articolo 21 della Costituzione (“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, ndr) e dispone il pagamento da parte di San Benedetto delle spese legali sostenute dalla testata. L’azienda di Zoppas avvia contro il sito una causa civile per danni da diffamazione e chiede il risarcimento da 1,5 milioni di euro. L’avvocato, continua l’articolo pubblicato su Il Fatto Alimentare, “sostiene che c’è stato un danno di immagine e che l’azienda ha speso 864.219,80 € per il rifacimento di otto spot ‘a causa degli effetti negativi sui consumatori’ derivanti dai nostri articoli”. Il sito però risponde che gli articoli della discordia riguardano un solo spot, “che è stato modificato volontariamente da San Benedetto a seguito dei rilievi dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, sollecitato a intervenire da terzi”.

LA DIFESA DEL SITO – Per questo il sito di La Pira parla di un “chiaro intento di San Benedetto di portare avanti un’azione giudiziaria per indurre Il Fatto Alimentare a miti consigli […] Lo schema è semplice. Ti faccio una causa milionaria e ti costringo a sostenere spese elevatissime per difenderti”. Ecco quindi che gli avvocati che difendono la testata hanno chiesto al giudice di “rigettare le accuse e di rifondere le spese legali”. Non solo: si chiede anche che l’azienda venga condannata a una penale che corrisponde al 10% del danno ipotizzato “per avere portato avanti una lite temeraria”. Come riporta Il Gazzettino, lo scontro in Tribunale è fissato per metà marzo a Venezia.

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