Ho deciso di scrivere questo post proprio oggi, venerdì, mentre a Mosca si svolgono i funerali di Navalny, per ragionare un po’ più a fondo sul termine “autocrazia”, oggi usato con grande leggerezza, come se fosse una via di mezzo tra la democrazia e la dittatura. Alexei Navalny voleva per la Russia e il suo popolo una democrazia, ovvero un paese libero di scegliere da sé il proprio destino, come Zelensky, non un dittatore accusato di delitti come Putin.

E allora perché ho deciso di scrivere, proprio nel titolo di questo articolo, un paragone (di fatto) tra Putin e il defunto Mussolini? Lascio agli storici di alto livello rispondere col dovuto dettaglio e competenza, è tuttavia possibile (a mio avviso, da semplice studioso della politica) rispondere anche subito a questo quesito vedendo la parabola ascendente dei due dittatori.

A parte le nefandezze che tutti i dittatori commettono per arrivare (e mantenersi) al potere, Mussolini – prima di creare il regime fascista – aveva abbracciato l’ideale “socialista”, quindi non un ideale di “dispotismo”, ma un ideale di giustizia popolare che poi, sopraffatto dalla sua ambizione personale, è sfociato nella sua incredibile illusione di poter riportare l’Italia ai fasti della Roma imperiale di duemila anni fa. Rimane tuttavia una differenza abissale con l’ego del Putin odierno che, magari senza aspirare alla grandezza della vecchia Roma, si accontenterebbe (forse) di eguagliare quelli del suo antenato “Pietro il Grande”, ma che, già ora, ha costruito intorno a se un regime tirannico che non ha nulla da invidiare ai molti che storicamente abbiamo visto realizzati anche in questa parte del mondo.

Putin, quindi, nonostante il richiamo al passato imperiale del suo paese, ciò che in realtà rincorre è solo la sua grandezza personale. Quando ha attaccato l’Ucraina (imitando Attila, non Cesare) probabilmente pensava di farla franca ancora una volta, come con la Crimea, e di essere poi ricordato nella storia come “Putin il Grande”.

Nessuno di questi “idiots” (uso l’accezione anglo-americana del termine) che si nascondono dietro la “foglia di fico” del termine “autocrazia” (per evitare il termine, più spregiativo di “dittatore”, ma che sta già conquistando terreno lessicale anche nelle democrazie), pensa in origine di salire al gradino più alto del potere per servire il proprio popolo e migliorare il più possibile le condizioni di tutti.

Ecco quindi il perché del mio confronto terminologico tra “fascismo” e “autocrazia”, non certo per assolvere anche solo in parte il fascismo nel suo insieme, in quanto anch’esso diventato “autocrazia” nella fase finale (repubblicana) della sua esistenza. Un destino che è pressoché comune a tutti i regimi autoritari. Cos’era in fondo il regime di Hitler se non una autocrazia portata ai massimi termini del suo individuale potere?

Far chiarezza sulla terminologia aiuta quindi a prendere decisioni più ponderate su cosa fare per fermare un “autocratico” come Putin. Il mio parere l’ho già espresso nell’articolo di circa due anni fa: “C’è solo un modo per fermare lui e la guerra” ma mancavano completamente le condizioni giuridiche per farlo allora, e mancano tuttora.

Ma nel giorno del funerale di Navalny non si può comunque sottovalutare ciò che ci aspetta il prossimo mese di novembre: un pericolo immensamente più grande persino delle minacce atomiche di Putin: le elezioni americane, che rischiano di mandare a fondo con Trump, il più “autocratico” tra i leader di questo secolo (anche se ex presidente dell’America, la più antica democrazia del mondo). Ha sbagliato la prima volta, perché era certo di vincere, ma ha tentato di vincere lo stesso anche dopo che aveva perso l’elezione vera.

Stavolta se non saranno gli stessi americani a sbattergli la porta in faccia con un voto incontestabile, sarà la fine delle democrazie e il trionfo delle autocrazie (con tutti gli enormi rischi che comporta).

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