Confesso che sarebbe una sottile soddisfazione poter valutare da un punto di vista psicologico i giudici. Come categoria ispirano un certo timore reverenziale, anche a uno come me che non è mai stato sotto il loro giudizio, per cui metterli in posizione di essere a loro volta investigati sarebbe quantomeno stimolante.

La notizia, nei giorni scorsi nelle prime pagine dei giornali, per cui il governo sarebbe intenzionato a sottoporre i giudici a una valutazione psicologica mi ha quindi incuriosito e divertito. Il problema che si pone e se questa valutazione abbia un senso da un punto di vista scientifico? Il colloquio clinico psicologico non è una scienza esatta per cui risente parecchio di chi sia l’esaminatore, dei suoi convincimenti e della sua scuola di formazione scientifica (ad esempio in psicologia esistono almeno tre grandi scuole di pensiero quella psicoanalitica, quella cognitivista e quella relazionale). Si porrebbe il problema di chi giudica o sceglie gli psicologi/psichiatri che devono valutare i giudici? L’investigazione psicologica, inoltre, richiede come elemento essenziale la fiducia di colui che si reca al colloquio. Se viene a mancare la fiducia, come indubbiamente avverrebbe inevitabilmente in un contesto ove si viene valutati, crolla quasi tutta la possibilità dello psicologo di comprendere la persona che ha di fronte.

L’utilizzo di test standardizzati ha dei limiti. Questi test sono stati elaborati dopo vari anni di studi su grandi numeri di popolazioni e sottoposti a controlli molto raffinati. Per forza di cose sono di dominio pubblico per cui chiunque può visionarli, studiarli e cercare di trovare dei modi per indirizzarli. E’ vero che alcuni di essi hanno delle griglie per valutare anche la tendenza dell’esaminando a mentire ma, se aiutati da persone competenti, anche questi elementi sono manipolabili. Giudici con una cultura elevata, aiutati da persone che conoscono bene i test, riuscirebbero di certo a capire come indirizzarli. Produrre nuovi test alla bisogna tenuti segreti non è possibile perché per avere un valore devono essere elaborati su vaste popolazioni, studiati per anni e rivalutati parecchie volte per comprendere che non vi siano errori.

Insomma, in sintesi, ritengo che non sia possibile organizzare una valutazione attendibile dello stato psicologico di una categoria come quella dei giudici.

Nella mia vita professionale ho avuto due giudici fra i miei pazienti. In entrambi i casi si trattava di problemi sentimentali legati ad amori conflittuali che poco avevano a che fare con la loro mansione. Non erano “malati” in senso medico anche se soffrivano. Ritengo in aggiunta che un giudice affetto da un disturbo psichiatrico di tipo ansioso o depressivo possa essere comunque un buon giudice. Addirittura soffrire di questi disturbi affinerebbe la sua capacità di comprensione degli altri e potrebbe essere un elemento utile al suo difficile lavoro. Il problema si porrebbe se un giudice fosse affetto da un disturbo psichiatrico grave come una psicosi (ad esempio schizofrenia, paranoia) ma credo che a quel punto tutti se ne renderebbero conto in quanto si tratta di patologie molto pervasive e invalidanti.

Quelli che ritengo più pericolosi sono i giudici “pessimi”. Uso questa terminologia, volutamente non scientifica e gergale, per definire persone che non hanno consapevolezza dei propri limiti, che per modello educativo non si mettono mai in discussione e in modo supponente esercitano il loro lavoro senza troppa elaborazione mentale o addirittura per interessi personali.

Per arginare costoro ritengo non valida la proposta governativa di istituire un controllo psicologico. Forse, ma questo non è il mio campo per cui potrei sbagliare, si potrebbero porre argini normativi che limitino l’esposizione mediatica, impediscano il passaggio diretto dalla funzione di giudice a quella di politico e controllino il numero di sentenze che vengono revisionate nei diversi gradi di giudizio.

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