Cultura

Televendite, falò di confronto, risse tra dive: l’Elisir d’amore diventa un’opera lirica-verità sulla tv. Dove tutto può essere vero ma anche no

di Diego Pretini

Televendite mirabolanti, amori al pubblico ludibrio, falò di confronto e di (molte) vanità. E, perché no: un bel rissone tra dive trasmutate in capiultrà. Non è il palinsesto pomeridiano di una tv commerciale in gara con lo share: è lo scoppiettante Elisir d’amore di Gaetano Donizetti nell’allestimento del regista Stefano Ferrara sotto l’egida e con la produzione di VoceallOpera, l’associazione che porta la lirica laddove ne passa poca (per geografia urbana e per costi) e fa da palestra a truppe di cantanti, registi, staff, direttori d’orchestra, musicisti under 35. Come in questo caso, anche grazie alla cantèra del concorso internazionale Giancarlo Aliverta da cui provengono regista, costumista, un soprano, baritono, tenore.

Nelle recite in programma allo SpazioTeatro89 di Milano il libretto del capolavoro del compositore bergamasco è rispettato con fede religiosa solo che tutto (o quasi tutto) si muove a favore di telecamere, h24, come se davanti ci fossero i vipponi di un grande fratello di un’edizione a scelta. E dunque Adina – molto consapevole della sua beltà, bizzosa, non riccanza ma quasi – parte più o meno dalla posizione di tronista con tanto di poltrona in mezzo alla scena, Nemorino è lì che si strugge in fila tra i vari pretendenti (scartati uno dopo l’altro, lui compreso), Giannetta è l’assistente di studio con cuffie, copione e nevrosi, Dulcamara non può che essere un Wannamarco con la differenza non secondaria che resta a piede libero. Fino all’inaudito per un’opera lirica: gli applausi a chiamata durante le arie (con tanto di cartello d’ordinanza da capoclaque della Ruota della fortuna) e il gobbo sul quale Belcore – il bellimbusto che nella classifica provvisoria di Adina ha i pronostici dalla sua – legge la sua cavatina-serenata: Come Paride vezzoso porse il pomo alla più bella, mia diletta villanella, io ti porgo questi fior.

La forza della regia di Ferrara è che la scena si restringe e si riallarga, proprio come se ruotasse da una parte e dall’altra la ghiera di uno zoom. Da una parte Una furtiva lagrima è disegnato inevitabilmente come un primo piano nel quale Nemorino appare solissimo coi suoi pensieri da innamorato: lui e basta, lontano da qualsiasi elemento di scenografia, poiché galleggiante e disperso nelle sue riflessioni, sbuffi d’amore struggente (manca solo un occhio di bue da cabaret anni Trenta). E dall’altra parte invece Belcore – il suo rivale in amore – corteggia Adina mentre lei si trova intronata al centro di uno studio tv affollatissimo da cameramen, addetti alla security, pubblico pagante (l’ottimo coro Melos diretto da Francesco Vittorio Grigolo). Così l’inquadratura (cioè l’occhio dello spettatore) si espande e abbraccia tutto quello che c’è, a tal punto che Ferrara assegna una quasi impercettibile funzione scenica anche al direttore d’orchestra (lo scrupoloso Giulio Amerigo Galibariggi) e ai musicisti, una gustevole carezza di metateatro insomma.

Siamo in tv, d’altronde, e tutto può essere vero e fasullo. La cosa più autentica alla fine dei conti sembra l’elisir, azzurro come solo certi drink energetici, che come da regolare trama viene venduto come pozione con cui Nemorino potrà conquistare l’agognata Adina. Tutto finto, sì, ma neanche la tv può perpetuare la finzione per sempre. A un certo punto perfino Adina capisce che deve scavalcare la soglia tra lo schermo e la realtà, come nel videoclip di Take on me degli A-ha: quando realizza che Nemorino la ama davvero, smette di tirarsela (Adina inneggia alla sua libertà ma invero raccoglie molte candidature nella sezione “Figa di legno”) e alla fine, se Dio vuole, scioglie se stessa e l’incordato adorato nello slancio finalmente genuino: “Tu mi sei caro, e t’amo”.

Applausi sonori e insistiti si registrano per Nicola Di Filippo, peraltro impeccabile nella parte del Nemorino un po’ inebetito dall’invaghimento per la sua bella, convince il Belcore incarnato da Lorenzo Liberali con la giusta dose di presunzione tronfia e quasi goffa, magistrale il Dulcamara volpino e velenoso di Matteo Mollica che parla agli spettatori a un centimetro dalla telecamera come se fosse su Tele Elefante a vendere quadri di Staccolanana. Scena clou il cat-fight tra Adina (Chiara Maria Fiorani è accurata nel darle un’espressione di perfezione un po’ affettata, da starlette) e Giannetta, incazzosa assistente di studio, parte in cui Luisa Bertoli sembra molto divertirsi e ne beneficia la performance. Nello scontro senza esclusione di colpi si annotano per la cronaca sputi, pestoni e tirate di capelli. Tutto così vero eppure tutto finto, come in certa televisione.

L’intuizione geniale di Ferrara – che ha lavorato con scene e costumi di Giulia Bazzu – è dare ulteriore carica dinamica a un’opera già movimentata grazie a un personaggio che non è nel libretto, non ha nome, né parte né ruolo eppure diventa – lasciando il testo di Donizetti integro nella sua sacralità – un ingranaggio determinante per il godimento di alcune scene più giocose. Presenti quelle immagini che svelano che le carte delle previsioni del tempo in tv in realtà sono effetti speciali proiettati su banali pannelli verdi? Ecco: davanti a quei panni verdi Dulcamara fa la sua televendita miracolosa con tanto di slogan abracadabra stampigliato alle sue spalle: Ei move i paralitici, spedisce gli apopletici, gli asmatici, gli asfitici, gl’isterici, i diabetici… E in più, appunto, Ferrara inventa un omino che indossa una tuta verde dalla testa ai piedi (e quindi da immaginare invisibile all’occhio del telespettatore) e accanto all’imbonitore prende in mano l’elisir per esporlo di sopra, di sotto, da un lato. Però l’aiutante presunto-invisibile non rimane confinato a fare da complice all’incantatore di folle Dulcamara: rimane per tutta la storia e, come trasformato in un soffio magico, cambia forma di volta in volta: diventa sodale di Belcore quando maltratta Nemorino, poi improbabile spostamento d’aria (e fa così con le dita) dei proiettili quando i due contendenti si sparano in un duello e perfino modello dello stesso abito indossato da Adina. Il risultato è comico perché si basa sul meccanismo eterno del mimo che gesticola e non ha facoltà di parola: semplice e come tutte le cose semplici funziona. Nella fattispecie l’omino verde mima, non parla, ma canta anche se non si vede perché nascosto dietro al velo verde: la nota di merito va a Paolo De Stefano, uno dei coristi storici di VoceallOpera, anche per la pazienza di indossare i panni da Diabolik total green.

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