Sta per arrivare in Gazzetta ufficiale, a tre settimane dal consiglio dei ministri che ne ha approvato la versione definitiva, il decreto che introduce il concordato preventivo biennale con il fisco per piccole imprese e lavoratori autonomi. Il testo bollinato conferma le anticipazioni di fine gennaio: l’accesso alla misura, uno dei cavalli di battaglia del governo in campo fiscale, sarà aperto anche ai contribuenti che hanno indicatori di affidabilità fiscale (Isa) sotto la sufficienza. Cioè probabili evasori. La proposta delle Entrate arriverà poi anche ai “forfettari“, cioè le partite Iva che hanno scelto la flat tax: nel 2023 sono salite a oltre 2 milioni, complice l’innalzamento a 85mila euro della soglia di reddito entro cui si può godere dell’aliquota al 15%. La platea potenziale arriva così a 4,5 milioni di persone. Chi aderirà (la decisione andrà comunicata entro il 15 ottobre) pagherà nel 2024 e 2025 una somma predefinita a titolo di Irpef e Irap: nulla di più potrà essergli chiesto nel caso il suo reddito effettivo risulti ben superiore a quanto stimato dall’amministrazione. Il rischio, secondo le opposizioni e molti addetti ai lavori, è che invece di far emergere base imponibile la misura finisca per legittimare l’evasione.

Chi resta fuori… – Il concordato è riservato, in generale, ad autonomi e imprese con redditi fino a 5 milioni di euro. È escluso in partenza chi non ha presentato la dichiarazione dei redditi per uno o più anni tra 2021 e 2023 o è stato condannato per reati tributari, riciclaggio o impiego di denaro riciclato. Fuori anche i contribuenti con debiti tributari sopra i 5mila euro, a meno che non versino o rateizzino il dovuto. La bozza dello scorso novembre prevedeva poi, per i 2,5 milioni di contribuenti soggetti agli Isa, un ulteriore requisito: avere un punteggio fiscale pari o superiore a 8. Questo avrebbe ristretto il campo al 45% delle partite Iva soggette agli indici: quelle più affidabili, che nel 2022 hanno dichiarato al fisco una media di 75mila euro.

…e chi rientra in extremis – Ma nell’ultima versione del provvedimento il governo, esaudendo una richiesta dei parlamentari di maggioranza in commissione Bilancio del Senato, ha eliminato quel paletto. Potranno così accedere ai vantaggi del concordato anche gli autonomi con punteggi sotto la sufficienza, che nelle ultime dichiarazioni hanno riferito alle Entrate di aver percepito, in media, meno di 25mila euro di reddito annuo. Mentre ben 1 milione non arriva a 15mila euro. Si tratta dei soggetti che gonfiano le stime dell’evasione fiscale: secondo l’ultima relazione della commissione nominata dal Mef, la distanza tra l’Irpef da lavoro autonomo e impresa teoricamente dovuta e quella versata continua ad attestarsi intorno ai 30 miliardi l’anno. Più del 68% del dovuto, in media, viene sottratto all’erario. Il risultato della decisione è che, nella nuova relazione tecnica, il gettito atteso dal concordato – che prima ammontava a 1,8 miliardi – viene prudenzialmente azzerato.

La proposta – Per formulare la sua proposta, l’Agenzia delle Entrate partirà dalle dichiarazioni del contribuente, da ulteriori dati caricati attraverso un software che sarà reso disponibile entro il 15 giugno 2024 e da quelli contenuti nelle banche dati a disposizione delle Entrate stesse e di altri soggetti pubblici. L’amministrazione dovrà seguire la metodologia indicata in un successivo decreto del Mef. Il provvedimento attuativo della delega fiscale anticipa che dovranno essere valorizzate le informazioni già nella disponibilità dell’amministrazione e si terrà conto “degli andamenti economici e dei mercati, delle redditività individuali e settoriali desumibili dagli indici sintetici di affidabilità fiscale e delle risultanze della loro applicazione, nonché degli specifici limiti imposti dalla normativa in materia di tutela dei dati personali”. Ma starà all’Agenzia, in ultima analisi, decidere che incremento di reddito proporre.

I rischi per l’erario – È evidente che, se chiedesse a chi ha un punteggio Isa bassissimo di pagare le tasse su una cifra doppia rispetto a quella che ha dichiarato l’anno prima, il contribuente sarebbe tentato di rifiutare. In teoria, chi non aderisce è destinato a essere oggetto di un’attività di controllo più intensa, ma bisogna intendersi: al momento la probabilità di ricevere un accertamento è inferiore al 5%. La misura, quindi, potrebbe tradursi in un flop. L’alternativa è limitarsi a far “gradualmente emergere base imponibile“, come da auspici del viceministro Maurizio Leo: un obiettivo poco ambizioso che potrebbe giustificare richieste molto lontane, in negativo, dal reddito effettivo. Il rischio palese è che parte dell’evasione attuale finisca per essere legittimata. E che anche chi oggi è virtuoso sia indotto a pensare che non ne vale la pena.
In salita anche l’applicazione ai forfettari, che dichiarano in media pochissimo – meno di 16mila euro – e pagano solo il 15%. Per loro, in via sperimentale, la proposta delle Entrate varrà solo per un anno. Considerato che dovranno decidere se aderire a novembre, quando avranno già chiarissimo il quadro sull’andamento dei propri redditi, aderiranno solo con la certezza di guadagnarci. Per presentare una proposta appetibile, l’erario dovrebbe essere disposto a perdere gettito.

Cosa cambia per le stime di evasione – Una volta che il regime sarà in vigore, la commissione di esperti presso il Mef che stima ogni anno il tax gap dovrà decidere se considerare automaticamente in regola tutti gli autonomi e le pmi che hanno firmato l’accordo col fisco. O, al contrario, tener conto del fatto che i ricavi “concordati” non sono quelli reali. Nel primo caso, paradossalmente, i dati ufficiali sulle somme sottratte all’erario ne uscirebbero ridimensionati. Ma sarebbe solo un’illusione ottica.

I benefici per chi aderisce – Gli obblighi contabili e dichiarativi rimangono immutati e l’Iva continuerà ad essere applicata secondo le regole ordinarie. Ma l’adesione al concordato consentirà di accedere a tutti i benefici già previsti per chi raggiunge un punteggio Isa pari a 8, tra cui l’esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici e di quelli sintetici. In più offrirà uno scudo dagli accertamenti induttivi, basati su dati o notizie raccolti dall’amministrazione finanziaria o sulla constatazione di gravi incongruenze tra dichiarazioni dei redditi e caratteristiche del settore di attività. L’unica eccezione saranno i casi in cui dall’attività istruttoria emergano cause di decadenza dal beneficio, a partire dall’esistenza di attività non dichiarate (o inesistenza di passività dichiarate) per un importo superiore al 30% dei ricavi dichiarati – il che sembra legittimare una modica quantità di evasione – o altre violazioni tributarie “di non lieve entità”. Resteranno gli accertamenti sull’Iva e i dati comunicati ai fini dell’elaborazione della proposta.

Le attività di analisi del rischio e la privacy – Il decreto bollinato contiene anche le modifiche chieste dall’autorità per la protezione dei dati personali all‘articolo 2, dedicato a “Razionalizzazione e riordino delle disposizioni normative in materia di attività di analisi del rischio, quelle mirate a individuare i probabili evasori e selezionare quelli da sottoporre a controlli o invitare “amichevolmente” a mettersi in regola. Il Garante ha chiesto di essere consultato sul regolamento del Mef che conterrà le limitazioni dei diritti degli interessati e ha stoppato l’utilizzo dei dati pubblicamente disponibili, cioè quelli caricati su internet e sui social dai diretti interessati. Leo si è detto convinto che quelle informazioni vadano sfruttate, perché sono indizi del reale tenore di vita dei contribuenti. Per farlo servirà un nuovo intervento legislativo.

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