Mercoledì 7 febbraio. Parte lo sciopero spontaneo dei lavoratori e delle lavoratrici del secondo turno dello stabilimento di Mirafiori. Al termine delle assemblee della Fiom, gli operai delle carrozzerie escono in corteo dalla porta 2. Giovedì 8 mattina: sciopero e corteo si ripetono.

È un segnale preciso e potente: il livello di guardia è stato superato. Migliaia di persone hanno il diritto di sapere cosa sarà del proprio futuro. Elkann e Tavares hanno il dovere di prendere parola e aprire un confronto vero con le lavoratrici, i lavoratori e i loro rappresentanti. Il governo Meloni deve dare risposte e spiegare che cosa intende fare per tutelare il settore dell’automotive in Italia. Sono giorni, ormai, che si susseguono indiscrezioni su una possibile fusione di Stellantis con Renault. Elkann smentisce e dichiara che la società è concentrata sulla “puntuale realizzazione dei progetti annunciati per rafforzare l’attività in ogni mercato dove è presente, inclusa l’Italia” e “impegnata al tavolo automotive presso il Mimit”, per affrontare con il governo e gli attori della filiera la transizione elettrica.

Eppure, c’è un’unica cosa certa: dopo l’annuncio di interruzione delle linee dal 12 febbraio al 3 marzo, Stellantis ha comunicato altre 4 settimane di cassa integrazione a Mirafiori, fino al 30 marzo. Due mesi in tutto. Una cassa che dura a singhiozzo da 17 anni. Peggio: l’azienda comunica che dal 31 marzo alle carrozzerie terminerà la produzione del suv Maserati Levante, che vuol dire la scomparsa di 25 delle 33 vetture Maserati prodotte ogni giorno a Mirafiori.

A tali condizioni, in che modo si può parlare di rafforzamento dell’attività in Italia?
La città si muove. Dopo le sollecitazioni della sinistra rosso-verde e l’annuncio della “Marcia clima lavoro” attorno al perimetro di Mirafiori il 24 febbraio, il sindaco Lo Russo invoca l’arrivo di una nuova linea a Torino e la ripartenza delle linee esistenti. Chiede, come noi da settimane, che il governo faccia chiarezza sulle sue strategie industriali, sul sostegno alla transizione ecologica. Invita a “fare squadra”. Ma il governo si sta muovendo da solo e scompostamente. Giorgia Meloni si mostra aggressiva, eppure doveva essere molto distratta quando la Topolino volava in Marocco, la Seicento in Polonia e il Presidente della Repubblica serba annunciava l’arrivo della nuova Panda elettrica, rendendo ricattabile lo stabilimento di Pomigliano.

Intanto il ministro Urso cerca di giustificarsi per il mancato confronto e assicura: “Ho incontrato Elkann, credo, tre volte in un anno. E lo stesso con Tavares”. Fa sapere che, se Stellantis e il suo Ceo ritenessero che “l’Italia debba fare come la Francia, che recentemente ha aumentato il proprio capitale sociale all’interno di Stellantis”, il governo sarebbe disponibile a discuterne.

Nel frattempo Tajani, mentre si augura che Stellantis possa continuare a produrre auto in Italia, elettriche o ibride, afferma che ”oggi il mercato non è così sensibile all’auto elettrica” e non bisogna “spingere troppo sull’acceleratore”, perché in Italia si rischierebbe di perdere 70mila posti di lavoro. Peccato che il mercato italiano sia l’unico in cui le immatricolazioni di auto elettriche non stanno decollando, mentre in Europa crescono sensibilmente: a novembre 2023 in Ue ci sono state 144.378 immatricolazioni, pari a una crescita del 16,4%. A fine 2023, la quota delle vendite in Italia era il 3,9% contro il 15,2%, in media, dell’Europa occidentale; in Germania è il 18%, nel Regno Unito il 16,4%, in Francia il 16% e in Spagna il 5,3%.

Il ritardo italiano è lampante e allarmante, eppure la destra continua a diffondere la propaganda sui rischi occupazionali della conversione ecologica, rimandandola ancora e ancora e accelerando la profezia della scomparsa di un intero settore produttivo.

A oggi, Torino è l’unica città italiana in cui si produce una vettura elettrica: la Cinquecento. Ma dal 2027 la Cinquecento rischia di non essere più prodotta in Italia. In Campania il disinvestimento è visibile da tempo: a Pratola si continuano a produrre Diesel e il fine ciclo di Pomigliano è una Panda endotermica che a un certo punto sparirà dalla scena europea, mentre quella elettrica vola in Serbia. Così, mentre Mirafiori sciopera, Pomigliano trema. E nello scontro fra governo e Stellantis, le rassicurazioni sulla produzione in Italia sono accompagnate da un velato ricatto: incentivi o niente, senza garanzie su nuovi modelli e occupazione. “Senza sussidi all’auto elettrica Mirafiori e Pomigliano sono a rischio tagli” dice Tavares. Meloni liquida le sue parole come “bizzarre”, ma sono chiarissime: la minaccia è l’abbandono e tutto fa pensare a una fuga con la cassa, che pagherebbero i lavoratori (14mila in Campania, incluso l’indotto, 12mila a Torino) e interi territori.

Elkann incontra il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, il capo dello Stato Sergio Mattarella, l’ambasciatore Usa in Italia Jack Markell, il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Teo Luzi e il governatore di Bankitalia Fabio Panetta. I commentatori dicono che la tensione si stempera, ma gli impegni futuri di Stellantis in Italia restano avvolti dal mistero.

Sarebbe ora di abbandonare la propaganda: che cosa intende fare concretamente questo governo? Torino merita di essere cuore industriale italiano anche nell’era della transizione ecologica. Il Sud ha bisogno di sforzi enormi di ricerca e sviluppo, investimenti, infrastrutture che rendano realmente fruibile l’auto elettrica ed ecologicamente compatibile la sua produzione.

Davanti a un mono-produttore come Stellantis il governo ha diverse possibilità: invece di annunciare una possibile entrata nel board, dovrebbe mettere sul piatto la disponibilità a far parte del capitale della società, come ha fatto il governo francese. E dovrebbe smetterla di parlare di autarchie, perché in questa vicenda ormai gli interessi nazionali non c’entrano niente: la famiglia Elkann e gli Agnelli se ne sono andati via tantissimi anni fa, i ricatti verso Mirafiori sono serviti solo a fare di Torino la capitale della cassa integrazione italiana. Infine: bisogna spingere altri produttori a venire in Italia. Le competenze, le professionalità, l’esperienza ci sono e aspettano solo un futuro.

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