di Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità WWF Italia

Le clamorose proteste degli agricoltori europei delle ultime settimane hanno senz’altro valide motivazioni economiche, che derivano da inadeguati e ingiusti riconoscimenti del valore del loro lavoro e dei loro prodotti. L’aumento dei costi di produzione, determinato dall’impennata dei prezzi del gasolio agricolo, dei fertilizzanti e pesticidi di sintesi a seguito della guerra in Ucraina, non è stato compensato da un corrispondente aumento dei prezzi di vendita per gli agricoltori. L’inflazione, cresciuta in modo esponenziale nell’ultimo anno, ha ridotto il potere di acquisto dei consumatori e degli stessi agricoltori, ma non ha condizionato i profitti degli intermediari, dei trasformatori e della grande distribuzione commerciale. Il colpo di grazia ai redditi degli agricoltori nel 2023 è arrivato con il crollo delle rese di molte produzioni agricole a seguito degli effetti devastanti del cambiamento climatico.

Le ragioni del malessere degli agricoltori vanno cercate nelle dinamiche di mercato e nel cambiamento climatico in atto, non nelle strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” del Green Deal, che propone soluzioni alle gravi crisi ambientali globali e locali. Gli obiettivi di queste strategie sono rimasti, ad oggi, principi teorici, senza reali strumenti di attuazione. Nessuno dei Regolamenti attuativi, che stabilivano norme e impegni vincolanti per il settore agricolo degli Stati membri, è stato in realtà approvato. Sviliti anche gli obiettivi del ripristino della natura nelle aree agricole e il previsto Regolamento sulla sostenibilità delle filiere agro-alimentari non è stato presentato, mentre sta per essere approvata una pericolosa liberalizzazione dei nuovi OGM, ignorando il principio di precauzione.

Le Associazioni agricole in modo strumentale indicano quindi la transizione ecologica, di fatto non ancora decollata, come la principale responsabile della crisi del settore primario, con l’intenzione di demolire definitivamente anche gli obiettivi ambientali della Pac, la Politica Agricola Comune dell’Ue, definiti con l’ultima riforma 2023-2027. E ci stanno riuscendo, viste le ripetute deroghe concesse ai minimi interventi ambientali richiesti oggi agli agricoltori, in cambio di aiuti economici ingenti per il settore, che impegnano il 30% dell’intero bilancio comunitario (circa 400 miliardi di euro in 6 anni, il 10% dei quali destinato al nostro Paese). Risorse finanziarie pubbliche distribuite per l’80% solo al 20% delle aziende agricole, le più grandi per superficie e con metodi di gestione ad elevato impatto ambientale e climatico. Gli obiettivi ambientali della Pac servono per sostenere interventi per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, i cui effetti devastanti colpiscono le stesse produzioni agricole e per fermare la grave perdita di biodiversità, causata dall’agricoltura intensiva che utilizza elevati quantitativi di pesticidi e fertilizzanti di sintesi.

A livello globale, il 23% delle emissioni globali di gas serra è prodotto dall’agricoltura, in particolare dalla zootecnia, mentre in Europa il contributo del settore è stimato al 9% per le sole emissioni dirette. Il monitoraggio degli habitat e delle specie nell’Ue fornisce dati allarmanti sul pessimo stato di conservazione del nostro capitale naturale, dal quale dipendono servizi ecosistemici indispensabili per la stessa agricoltura. In 30 anni, in Europa, si è perso oltre il 70% della biomassa di insetti volatori, quasi tutti impollinatori che garantiscono l’80% delle produzioni agricole. Infine, è sempre l’agricoltura intensiva la prima responsabile delle cattive condizioni in cui versa il 70% dei suoli in Europa: senza adeguate misure di tutela ambientale e riconversione agroecologica sarà sempre più difficile produrre cibo.

Tutti questi problemi ambientali resteranno senza concrete soluzioni con la demolizione del Green Deal, oggi capo espiatorio del malessere degli agricoltori, facilmente sacrificabile per i decisori politici europei in vista delle prossime elezioni di giugno. In questo scenario, confermato da indiscutibili evidenze scientifiche, la strumentalizzazione delle legittime proteste degli agricoltori da parte delle Associazioni di categoria, con il solo obiettivo di rinviare l’attuazione dell’indispensabile transizione ecologica, può tradursi nel medio e lungo periodo nella proverbiale “zappa sui piedi” per le piccole e medie aziende agricole.

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