“Ora la politica europea si calerà le braghe per placare le proteste dei trattori, a maggior ragione pensando alle prossime elezioni. Qualcosa è già accaduto. Il guaio è che non cambierà nulla: i piccoli agricoltori continueranno a morire”. Perché quello dell’agricoltura è un mondo variegato e nelle città assediate in questi giorni ci sono coltivatori messi in ginocchio da anni, ma anche agroindustria, portatori di interessi e politici pronti a cavalcare la disperazione e strumentalizzarla a proprio vantaggio. È questa la prima distinzione che sottolinea Fabio Ciconte, direttore e cofondatore dell’associazione ‘Terra!’, esperto di agricoltura e filiere alimentari, di recente eletto primo presidente del Consiglio del cibo della città di Roma. Raccontando a ilfattoquotidiano.it cosa c’è dietro la protesta che in questi giorni è arrivata a incendiare l’Europa, Ciconte lancia un appello a chi in questi anni è davvero stato dimenticato: “Non fatevi strumentalizzare!”. Perché quelli che protestano sembrano chiedere e avere bisogno tutti delle stesse cose, ma la realtà non potrebbe essere più diversa. “Il principale problema degli agricoltori oggi in ginocchio – spiega Ciconte – non sono i tagli ai sussidi, ma la mancanza di reddito”.

Cerchiamo di capire, intanto, da dove sono partite le proteste e perché.
“Sono iniziate in Germania, quando il governo ha deciso di tagliare i sussidi al gasolio, considerati ambientalmente dannosi, dato che storicamente quello agricolo, utilizzato per i trattori, è sovvenzionato in tutta Europa. Poi si sono aggiunte le proteste in Belgio e Francia”.

Dove il neo primo ministro Gabriel Attal ha già annunciato lo stop all’aumento del gasolio agricolo e provvedimenti di semplificazione amministrativa contro la burocrazia che ritarda rimborsi e indennizzi. La Commissione Ue ha dato un freno all’accordo commerciale tra Ue e blocco Mercosur, contro cui si sono più volte schierati Attal e il presidente Emmanuel Macron.
“Tra le tante decisioni sbagliate, è una scelta saggia. L’accordo promuoveva una sorta di scambio di favori tra industrie insostenibili, quella delle automobili tedesche e quella della soia e della carne brasiliana. Un accordo che avrebbe intensificato la deforestazione in Amazzonia e aumentato gli scambi di commodity agricole su filiere lunghe, con impatti climatici, ambientali e sui diritti dei popoli indigeni dell’Amazzonia”.

E poi ci sono gli agricoltori dei Paesi dell’Est, vicini all’Ucraina.
“Alcuni Paesi sono diventati uno snodo dell’import del grano proveniente dall’Ucraina, che viene fatto entrare senza dazi, quindi a un prezzo molto basso, entrando in competizione con il grano locale. Si parla, tra l’altro, di quello stesso grano fermo nei porti dopo l’invasione russa e che, secondo certe false narrazioni, doveva essere sbloccato perché destinato ai paesi poveri. Come ho denunciato nel libro ‘L’ipocrisia dell’abbondanza. Perché non compreremo più cibo a basso costo (Laterza)’, invece, solo una minima parte è finita all’Africa subsahariana, mentre la maggior parte è servita a nutrire animali stipati in allevamenti intensivi”.

In ogni Paese, dunque, ci sono rivendicazioni diverse. In Italia le proteste sono iniziate quando la Manovra per il 2024 non ha esteso l’esenzione Irpef sui redditi dominicali e agrari dei terreni, introdotta nel 2017. Poi, però, sembra che i Paesi abbiano dei nemici comuni. Come le misure della Politica agricola comune o del Green Deal, il pacchetto di provvedimenti per la transizione ecologica in Unione europea.
“La Pac entrata in vigore negli ultimi mesi è lo strumento con il quale si destina all’agricoltura un terzo del bilancio europeo, circa 380 miliardi. Questa volta, però, a fronte di una cifra pazzesca destinata al settore, si chiedono agli agricoltori alcune misure per rendere più sostenibili le loro pratiche. Per esempio, di ridurre l’uso dei pesticidi, una spinta verso il biologico, la messa a riposo dei terreni, mantenendone il 4% incolto come requisito per accedere ai contributi comunitari (su questo punto, la Commissione ha già mediato, proponendo la deroga per il 2024, ma per gli agricoltori non è ancora sufficiente, ndr). Si tratta, per chi ha un approccio ambientalista come il mio, di misure molto timide, ma sono state interpretate dal settore come la distruzione dell’agricoltura”.

Se si vogliono aiutare gli agricoltori ‘costretti’ a lasciare incolto il 4% dei terreni e a ridurre l’uso di pesticidi, perché non si è fatto nulla affinché la nuova Pac cambiasse drasticamente il sistema di distribuzione delle risorse, con cui finora l’80 per cento dei sussidi è andato al 20 cento delle aziende più grandi?
“Perché il nemico sono le misure green e, per questo, è necessaria una lettura politica di ciò che sta accadendo. Dallo scoppio della guerra in Ucraina stiamo denunciando che la ricerca a tutti i costi della sovranità alimentare è una strumentalizzazione nata e costruita ad arte per fermare le misure ecologiche. Infatti, è da due anni che si continua a porre l’accento sulla necessità di produrre di più. Nasce così anche la denominazione del ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare e la narrazione che quel 4% dei terreni a riposo vada utilizzato per coltivare. E funziona tantissimo. Ma quando diciamo che il settore agricolo vuole produrre sempre di più, ci riferiamo alle grandi aziende, all’agroindustria, ossia a chi inquina di più e riceve tantissime risorse dalla Pac, perché ha più potere”.

Ma chi c’è a protestare a Bruxelles e nelle altre città europee, l’agroindustria che non vuole rinunciare ai vantaggi di cui finora ha beneficiato o i piccoli coltivatori messi in ginocchio dal sistema? Nel giro di 15 anni l’Europa ha perso più di 4 milioni di aziende agricole, più di 300mila solo in Italia.
“Tra chi protesta ci sono tutti, perché l’esasperazione è alta. C’è un pezzo di destra non istituzionale (quella dei Comitati riuniti agricoli guidati da Danilo Calvani, ex fondatore della Lega nel Lazio ed ex leader del Movimento 9 dicembre-Forconi, ndr), un pezzo di destra istituzionale che prova a cavalcare il malcontento e un pezzo di associazioni di categoria. A Bruxelles, infatti, c’è stata Coldiretti, anche se in Italia è accusata di non aver fatto abbastanza contro le misure europee che danneggerebbero gli agricoltori”.

Eppure Coldiretti si è esposta eccome contro le riforme Ue. Non solo la Pac, ma anche tutte le misure del Green Deal. Il segretario generale, Vincenzo Gesmundo, è finanche arrivato a dare del “gran cornuto” a Frans Timmermans, ex vicepresidente della Commissione Europea, perché Bruxelles aveva proposto che anche gli allevamenti di bovini dovessero rispettare i limiti imposti dalla direttiva sulle emissioni industriali. Il risultato è arrivato (ed è stato rivendicato): i bovini sono fuori.
“La mia impressione è che gli agricoltori abbiano iniziato a porsi delle domande sugli interessi tutelati finora. Un po’ è dovuto a una sorta di sovrapposizione che si è venuta a creare tra le posizioni della Coldiretti di Ettore Prandini e quelle del ministero dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. E questo, per una parte del mondo agricolo, è inaccettabile. E poi si tratta, ad oggi, di un soggetto con una certa ‘forza’ nel nostro Paese e questo è fonte di perplessità tra chi sente di non essere stato finora tutelato”.

Coldiretti è in prima fila anche contro la carne coltivata, tema puntualmente venuto fuori in questi giorni di protesta. Ma tra agricoltori e allevatori, è davvero così diffusa la paura di questo prodotto?
“Abbiamo passato mesi a parlare di una cosa che non esiste, ossia la carne coltivata. Si tratta di un modo per difendere gli allevamenti intensivi, senza parlare degli allevamenti intensivi. E ci sono cascati in tanti. Le preoccupazioni e le sofferenze del settore, però, sono dovute a tutt’altre questioni. Il problema principale non è la mancanza di sussidi, ma la mancanza di reddito e che, nella filiera, l’agricoltore non viene pagato equamente. Per questo, quando si tagliano anche i sussidi, non può che scendere in piazza a protestare. Bisognerebbe domandarsi come mai si fa una battaglia di questa portata per qualcosa che non c’è, mentre non si fa altrettanto contro la Grande distribuzione organizzata e la politica dei prezzi che danneggia proprio gli agricoltori. Perché le associazioni di categoria, il governo o il Parlamento non fanno in modo che la deroga sulla direttiva Pratiche sleale non venga tolta, mettendo così in evidenza, per davvero, il prezzo di vendita dell’agricoltore? Ci accorgeremmo che spesso deve conferire sottocosto all’Organizzazione dei produttori (Op).

Oltre alla questione della carne coltivata, nei volantini sventolati in questi giorni da una parte dei manifestanti c’era un po’ di tutto, compresa l’etichetta Nutriscore.
“Io credo che la protesta vada ascoltata, ma quello che dico agli agricoltori è di fare attenzione, perché secondo me in questo momento una parte di loro è strumentalizzata, soprattutto dalla destra conservatrice che sta giocando questa partita per fermare le misure del Green Deal. E questo ovunque, non solo in Italia. Invito a una riflessione: anche se si lasciassero intatte tutte le sovvenzioni ed eliminassimo le misure del Green Deal, alla vita dell’agricoltore non cambierebbe nulla, perché il suo problema, lo ribadisco, è il reddito”.

Nel frattempo, però, ci sono stati vari dietrofront. Non solo nei singoli Paesi, ma anche a livello europeo, con la deroga di un anno per il 4% dei terreni che dovevano restare incolti, con il freno al Mercosur e con la promessa di una proposta per “ridurre il carico amministrativo delle procedure della Pac” in vista della prossima riunione dei ministri dell’Agricoltura. Che cosa c’è da aspettarsi?
“Quando la politica è debole, si arrende al primo vento di proteste. Poi c’è anche la campagna elettorale. Si andrà in deroga su tutto. Dopo il regolamento sui pesticidi, la strategia sulla biodiversità e tutta una serie di misure arenate, sulla Pac fermeranno le misure sulle rotazioni culturali e, come hanno fatto per l’obbligo del 4% di terreni incolti, metteranno in deroga tutto ciò che dà fastidio alle industrie del settore. Resterà, invece, la distribuzione delle risorse che uccide i piccoli agricoltori”.

In Italia, invece, cosa dobbiamo aspettarci? Nei giorni scorsi, il ministero dell’Agricoltura ha convocato le categorie per avviare “una più intensa collaborazione con le organizzazioni agricole maggiormente rappresentative, istituendo un tavolo politico e operando anche attraverso un gruppo tecnico coordinato dal capo di gabinetto”.
“È grave, però, che non abbia nessuna intenzione di convocare anche le associazioni (comprese le ambientaliste) che sono invece al tavolo Pac. E che non convochi, ad esempio, la Grande distribuzione organizzata”.

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