I ruderi a vista, nella parte più stretta della diga, sono il segno di una situazione preoccupante. L’invaso di Punta Gennarta, a Iglesias, nella parte sud occidentale della Sardegna a una cinquantina di chilometri da Cagliari, rimanda una fotografia emblematica della crisi idrica che investe buona parte dell’isola. Su una capienza di oltre 12 milioni di metri cubi d’acqua, l’invaso alla fine di gennaio ne ha raccolti meno di 2.
Percentuale ridotta ai minimi termini, come pure nella maggior parte degli invasi sardi che, alla portata massima, potrebbero contenere circa 2 miliardi di metri cubi d’acqua (1miliardo 824 milioni è, per la precisione, il volume di registrazione autorizzato), ma che in quest’inizio anno caratterizzato da cielo terso, temperature quasi primaverili e assenza di piogge, ne custodiscono appena 958 milioni. Il dato è ufficiale ed è stato elaborato dalla direzione del distretto idrografico della Regione che, nello stesso periodo dello scorso anno, aveva registrato 1 miliardo 398,46 metri cubi.
“La Sardegna ha infrastrutture che, con circa 2 miliardi di metri cubi, darebbero garanzia di programmazione pluriennale”, evidenzia Gavino Zirattu, presidente di Anbi-Sardegna, l’associazione nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue. “Purtroppo oggi siamo ben lontani da quel volume e se per quanto riguarda l’idropotabile siamo tutto sommato tranquilli (restrizioni notturne sono in corso in alcuni centri dell’Ogliastra, ndr), così non è per l’agricoltura“.
La situazione non è uguale in tutta l’isola, nonostante tutti siano consapevoli della situazione critica. “I problemi maggiori sono per i territori dalla Baronia al Sulcis e dalla Nurra all’Ogliastra. Più tranquilla la zona che va da Oristano al Campidano, servita dal sistema idrico Tirso Flumendosa, che può fare affidamento su scorte adeguate. L’Iglesiente è un territorio storicamente a rischio e preoccupa anche il Nord-Ovest”. La parola d’ordine è programmazione. “Lo diciamo da anni perché non si può fare affidamento sulle piogge”, dice ancora il presidente di Anbi-Sardegna ricordando i numerosi solleciti alla Regione andati a vuoto: “Non siamo stati convocati neppure per fare il punto sull’emergenza. Ok che sono ormai tutti impegnati con la campagna elettorale, ma proprio questo è un tema che deve essere posto in cima ai programmi”.
La strada da percorrere è l’interconnessione dei bacini, già attuata in parte e da completare proprio in quelle aree dove maggiore è il rischio siccità. Il momento è buono per rivolgere un appello (l’ennesimo) alla politica anche per Mauro Usai, sindaco di Iglesias. “Chiunque vada al governo della Regione deve mettere al primo posto la questione dell’emergenza idrica, che si trascina tanti aspetti compreso quello occupazionale. È un tema che ha la stessa valenza di sanità e istruzione”, incalza l’amministratore comunale (34 anni, Pd), al secondo mandato. “I Comuni fanno quello che possono e il nostro anche la scorsa estate è riuscito a tamponare l’emergenza riattivando un pozzo della nostra zona industriale inutilizzato da anni. Per gli usi potabili ci dà una grossa mano la risorsa che arriva dalla miniera, unita a quella delle sorgenti. Ma di fronte al cambiamento climatico, che non è più la finzione catastrofica dei film di molto tempo fa ma ci siamo in mezzo, dobbiamo inventarci anche altre soluzioni. Io non escludo, per esempio, gli impianti di desalinizzazione dell’acqua del mare”.
Farebbe certamente la sua parte anche un uso più razionale della risorsa, evitando gli sprechi. Soprattutto quelli dovuti alle perdite nelle reti di distribuzione. Perdite che incidono tantissimo, come certificano i dati Istat secondo cui la Sardegna è (insieme a Molise, Sicilia, Abruzzo e Basilicata) tra le regioni dove è maggiore il fenomeno, diffuso in tutta Italia. In Sardegna i dati raccontano che ben il 51,3 per cento di risorsa immessa in rete viene disperso. Un vero e proprio spreco, in barba alla scarsità di una risorsa preziosa e al rischio (concreto) di precipitazioni sempre più scarse. “È cambiata soprattutto la distribuzione temporale“, chiarisce il colonnello Carlo Torchiani (meteorologo e responsabile dell’area clima di Legambiente Sardegna). “I cambiamenti climatici in corso già da anni hanno modificato l’inizio delle precipitazioni: ora abbiamo piogge abbondanti che si concentrano a maggio, anziché avere una distribuzione regolare in autunno e nell’arco della primavera”. Siamo a un punto di non ritorno? “Certo è che se anche oggi dovessimo invertire la rotta, sentiremmo gli effetti per i prossimi duecento anni. Intanto, però, sentiamo ancora parlare di combustibili fossili e gasiere”.
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