Si avvicina sempre di più l’amministrazione straordinaria per l’Ilva. Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso dell’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, presentato contro la richiesta di Invitalia di avviare il commissariamento a causa della crisi finanziaria dell’azienda, controllata da ArcelorMittal (62%) e partecipata dalla stessa agenzia per gli investimenti del ministero dell’Economia (38%).

Tutto respinto – Il giudice Francesco Pipicelli ha smontato il primo e fondamentale pezzo della guerra legale impostata dalla manager rigettando l’istanza presentata per inibire Invitalia dal richiedere al ministero delle Imprese l’apertura dell’amministrazione straordinaria e ha oltretutto dichiarato “manifestamente non fondata la questione di legittimità costituzionale” sollevata dai legali dell’azienda, lo Studio Lca, riguardo ai decreti con i quali il governo ha ‘allargato’ le possibilità di accedere alla procedura che Mittal sostiene non sia necessaria, assicurando che – in caso di accordo tra i soci – si possa uscire dalla situazione di squilibrio finanziario con una composizione negoziata della crisi.

Cosa dice l’ordinanza – Nelle 10 pagine di ordinanza che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, il giudice rigetta il ricorso perché “non coglie nel senso”, si legge. A Invitalia, in sostanza, non può essere impedito di richiedere al ministero l’ammissione all’amministrazione straordinaria perché “si riduce alla possibilità” di avviarlo e quindi l’autorità giudiziaria non ha alcuna possibilità “anticipata” di “inibire” né di valutare perché finirebbe per “invadere” la “discrezionalità amministrativa” che la legge attribuisce al ministero. Smontata anche la tesi relativa all’impossibilità che il decreto varato dal governo venga giudicato sostanzialmente retroattivo poiché licenziato due giorni dopo il deposito della composizione negoziata della crisi, che sarebbe cancellata stando al provvedimento voluto dal ministero delle Imprese. Il principio secondo cui la legge si applica anche ai “rapporti già in corso”, scrive Pipicelli, appare “consolidato”.

“Il decreto è legittimo” – Il decreto del governo, spiega ancora il giudice smontando la tesi della legge ad personam, non è affatto “tesa a disciplinare un caso concreto” ma riguarda “l’intero settore industriale di rilevanza strategica nazionale”. E proprio il fatto che riguardi impianti fondamentali costituisce “adeguata e obiettiva giustificazione” a stabilire che questi seguano una “disciplina differenziata” rispetto alle altre imprese. Quindi il tribunale rigetta anche l’idea che il provvedimento espropri il Cda delle proprie prerogative, perché la norma “sembra ispirata alla tutela della impresa” e delle prerogative del socio di minoranza secondo un “bilanciamento di valori” che “non appare irragionevole”, proprio perché si tratta di imprese strategiche per l’economia nazionale.

La marea di debiti – Si tratta di una battuta d’arresto pesante per le ragioni del socio privato, tenendo in conto che il ricorso verteva su due questioni principali: l’illegittimità dei provvedimenti del governo e la valutazione del piano di risanamento per non affogare sotto i 3 miliardi di debiti dichiarati da Acciaierie d’Italia, di cui oltre 500 milioni già scaduti. Quella sulle tempistiche del decreto varato dal governo (arrivato due giorni dopo il deposito della composizione negoziata della crisi) sembrava la parte più robusta del ricorso ed è stata affondata. Mentre il resto delle vicende, tutte basate sulla moratoria di 750 milioni di euro di debiti che Acciaierie d’Italia vorrebbe rimborsare solo dal dicembre 2026, è decisamente più scivolosa per le ragioni di Mittal.

La strada è spianata – La società aveva chiesto “misure cautelari” nei confronti dei creditori – che secondo Morselli stanno chiudendo i rubinetti a causa delle esternazioni del governo – per quattro mesi, cioè fino a fine maggio, quando scatterà l’obbligo di acquisto degli impianti dell’ex Ilva. Ma al di là del merito quanto deciso dal giudice Pipicelli sembra segnare la strada del siderurgico, perché ha stabilito che Invitalia può chiedere l’amministrazione straordinaria e il decreto varato dal governo prevede che, nel caso ciò avvenga, verrà sostanzialmente azzerata la discussione riguardo la composizione negoziata.

Lo strappo odierno – I vertici di Acciaierie, espressione di Mittal, sono a un passo dal mollare la guida dell’azienda dopo aver tentato un ennesimo strappo in giornata, rifiutandosi di fornire ai commissari di Ilva in as (ancora proprietaria degli impianti) i dati riguardanti la produzione e il magazzino di materie prime. I tecnici erano entrati nell’acciaieria di Taranto per un’ispezione dopo la sollecitazione del ministro Adolfo Urso seguita all’allarme dei sindacati metalmeccanici per il calo della produzione e il possibile spegnimento dell’unico altoforno ancora in marcia. “Un atteggiamento sconcertante”, lo definisce il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella.

Uilm: “Fallito tentativo di prendere tempo” – Secondo il sindacalista, l’ordinanza del giudice Pipicelli “mette un punto fermo” alla vicenda: “È fallito l’ennesimo tentativo di prendere ulteriore tempo, da questo momento si può finalmente provare a risollevare le sorti dell’ex Ilva senza il socio privato che in questi anni ha portato gli stabilimenti al minimo storico di produzione e che ha accumulato oltre 3 miliardi di debiti”, dice il leader della Uilm. “Avremmo preferito – aggiunge – un’uscita di scena di Mittal consensuale, ma l’unica strada possibile a quanto pare resta quella dell’amministrazione straordinaria”. La richiesta al governo è quella di “evitare quanto accaduto nel 2015”, quando scattò la prima amministrazione straordinaria, perché “vanno salvaguardati i lavoratori e le aziende dell’appalto accogliendo le richieste che stanno portando avanti in queste ore”, conclude Palombella.

La Fiom: “Agire ora” – La sentenza “dimostra ancora una volta che non c’è più tempo. Occorre agire con urgenza per mettere in sicurezza la più grande acciaieria d’Europa, i lavoratori, diretti, indiretti e degli appalti e l’ambiente”, dicono Michele De Palma, segretario generale Fiom, e Pino Gesmundo, segretario nazionale della Cgil. “Sono a rischio centinaia di posti di lavoro – aggiungono – Chiediamo la ripresa del confronto a Palazzo Chigi e alle forze politiche in Parlamento di intervenire per migliorare i due decreti e garantire realmente la continuità produttiva, gli ammortizzatori sociali, e la salvaguardia occupazionale delle lavoratrici e dei lavoratori diretti e occupati negli appalti di servizi”.

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