La colpa della crisi è del governo e di Invitalia, delle loro mosse “abusive” per risolvere le differenze di vedute tra i soci sul rilancio finanziario dell’ex Ilva e il decreto varato dall’esecutivo per facilitare l’amministrazione straordinaria è “illegittimo” e “incostituzionale”. Nonostante una mole di debiti che, si scopre ora, ammontava a 3,1 miliardi di euro al 30 novembre e sarà ancor più cresciuta, Acciaierie d’Italia si dice convinta che la sua crisi sia “certamente reversibile”. E propone per questo una moratoria di oltre due anni ai creditori per un totale di 750 milioni, chiedendo al tribunale di bloccare le iniziative di Invitalia e lanciando accuse sparse di allarmismo ingiustificato. In sostanza: le decisioni del governo stanno agitando banche e fornitori, innescando un circolo vizioso che porta la produzione ai minimi con il conseguente rischio di far spegnere l’impianto di Taranto. Un’accusa a specchio rispetto a quella formulata dal governo, attraverso i commissari di Ilva in as, nei confronti di Mittal. In 56 pagine di ricorso al Tribunale di Milano, l’ad Lucia Morselli – espressione del socio privato ArcelorMittal, principale azionista di Acciaierie d’Italia – sta provando a bloccare la richiesta di amministrazione straordinaria avviata da Invitalia, controllata dal ministero dell’Economia, e ha chiesto “misure protettive” nei confronti dei creditori per 120 giorni che scadrebbero a fine maggio, in contemporanea – ma sarà una coincidenza – con il contratto d’affitto degli impianti e scatterà l’obbligo di acquisto.

Tutte le accuse al governo – Se ne inizierà a discutere nel pomeriggio di mercoledì davanti al giudice Francesco Pipicelli, chiamato a decidere se le richieste della manager di Acciaierie d’Italia sono fondate o meno a iniziare dallo stop alla richiesta di amministrazione straordinaria. Di certo le accuse, circostanziate nel ricorso affidato allo studio Lca, sono gravi. Un antipasto della guerra legale che verrà e durerà a lungo. Nell’ottica del socio di maggioranza, la crisi del gruppo affonda le sue radici nei costi dell’energia nel 2022 e nella “mancata erogazione” delle “pianificate misure di supporto pubblico” per rimborsare gli investimenti precedenti. Non solo, sulla situazione finanziaria ha influito, si sostiene nel ricorso, anche la “reiterata diffusione di dichiarazioni” che preannunciavano l’amministrazione straordinaria e hanno finito per bloccare la trattativa con le banche per il rifinanziamento. Una situazione che si è fatta “sempre più difficile” per le “continue esternazioni del governo” nelle ultime settimane. Così facendo, è la tesi di Morselli, Acciaierie d’Italia “non può mantenere i livelli produttivi che possano consentire una normale profittabilità, potendo acquistare solo un volume ridotto di materie prime”. È questa la spiegazione fornita riguardo a un impianto che ormai marcia ai minimi e che già lo scorso anno ha chiuso con appena 3 miliardi di tonnellate di acciaio prodotte, mancando totalmente gli obiettivi fissati.

Oltre 3 miliardi di euro di debiti – Eppure un piano di risanamento è ancora possibile, si legge nel ricorso. Anzi è ritenuto l’unica via possibile, secondo Mittal, perché l’amministrazione straordinaria condannerebbe l’indotto e sarebbe una strada “senza ritorno” anche per la produzione. Perché funzioni – si legge nelle pagine del ricorso – è necessaria per una moratoria da 750 milioni sui debiti che ammontano in totale a 3,1 miliardi. Tra i creditori primari, oltre a Unicredit, ci sono principalmente i fornitori di energia come Snam Rete Gas, Eni, Enel Energia e A2A, per un totale di 263,6 milioni di crediti già scaduti. Ma altrettanti debiti commerciali riguardano altre realtà come Metinvest e Pellegrini. Ed è a loro che viene chiesto uno “sforzo” con una moratoria su tutte le obbligazioni scadute e future (fino al dicembre 2025) alla quale farà seguito un rientro tra il dicembre 2026 e il primo semestre 2028. Senza contare eventuali “interventi finanziari” dei soci che potrebbero accorciare i tempi. Ma il nocciolo della vicenda è proprio legato allo stallo che prosegue da mesi tra Mittal e Invitalia sulle iniezioni di capitale per rilanciare la produzione. Uno stallo sfociato nella richiesta di amministrazione straordinaria da parte di Invitalia, con l’ausilio di un decreto del governo. Una vicenda pesantemente criticata nel ricorso.

“Il decreto è illegittimo, ad personam” – Il provvedimento contiene, ad avviso dei vertici di Acciaierie d’Italia, “significative e ‘incredibilmente calzanti’ novità” rispetto alle richieste di Invitalia: “Legiferazione ad personam”, si legge nelle pagine ora al vaglio del giudice. E la norma è ritenuta “illegittima”, sia in chiave costituzionale che rispetto alle norme europee, e non può fermare la richiesta di composizione negoziata della crisi avviata due giorni prima. Dopo la sua approvazione – è un’ulteriore accusa – si è scatenata una “scriteriata e perdurante diffusione” di notizie che danno per imminente l’amministrazione straordinaria con la conseguente “enorme preoccupazione” dei creditori che hanno “sospeso” i contratti o “minacciato” di farlo. “Condizionamenti ambientali”, si arriva a definirli. Insomma, se il governo non avesse approvato il decreto tutto sarebbe filato liscio nonostante la mole di debiti e fatture scadute. Ma il socio pubblico – è forse l’accusa più grave a Invitalia – “pretende” di appianare le “divergenze” con Mittal in maniera “del tutto abusiva”, cioè “a colpi di normazione di urgenza”.

Le richieste al tribunale – Da qui la richiesta al Tribunale di stoppare la richiesta di amministrazione straordinaria da parte di Invitalia, sospendere l’obbligo di rimborso a Unicredit entro maggio di un finanziamento da 250 milioni di euro sottoscritto nel 2022 e il pagamento dell’ultima rata di affitto degli impianti a Ilva in as, oltre a inibire le richiesta di pagamento da parte di Eni delle rate del piano di rientro dai debiti per la fornitura di gas. E ancora: Acciaierie d’Italia chiede anche di fermare il rimborso di circa 28 milioni di euro a Banca Ifis per l’anticipo del saldo delle fatture ai fornitori e anche di impedire alle banche di segnalare alla centrale rischi e alla Crif la sospensione dei pagamenti perché “renderebbe enormemente più difficile” il già complicato accesso al credito. Se il giudice non dovesse acconsentire alle richieste e spianare la strada alla composizione negoziale della crisi, Acciaierie d’Italia ventila la possibilità, anche a causa dell’amministrazione straordinaria, di un finale nefasto soprattutto per le ditte l’indotto che “non riceverebbero mai alcun pagamento” e si “decreterebbe in tempi rapidissimi la definitiva chiusura delle attività” nonché la “sparizione” dell’Ilva dal mercato.

X: @cdifoggia e @andtundo

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