“Quando ero al Csm fui uno dei pochi, insieme al collega Sebastiano Ardita, a denunciare un pericolo quando dibattemmo sull’entrata in vigore della riforma Cartabia: di fatti criminosi, di stragi di mafia, di sistemi corruttivi potranno parlare giustamente gli imputati, gli avvocati, i parenti degli imputati. I figli di Riina e Provenzano possono parlare del periodo stragista, ma non ne può parlare un magistrato che si occupa di quelle indagini, ripeto sempre di vicende non più coperte da segreto“. Lo ha detto il magistrato Nino Di Matteo, commentando la legge sulla presunzione d’innocenza, varata dall’ex ministra Marta Cartabia. Ex consigliere del Csm (dal 2019 al 2023), Di Matteo è ora sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia ed è stato ospite di Corrado Formigli a PiazzaPulita. A proposito di quello che Il Fatto Quotidiano ha definito il “bavaglio Cartabia, il magistrato ha poi fatto un esempio: “Quando il pool di Palermo iniziò a istruire il maxi-processo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino iniziarono le loro esternazioni pubbliche per spiegare che cosa veniva fuori dalle dichiarazioni di Buscetta, ben prima che si arrivasse a un dibattimento e ben prima che si arrivasse a una sentenza. Falcone e Borsellino sarebbero stati sottoposti a procedimenti disciplinare“.

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