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“Il caffè italiano è il peggiore del mondo”: la stroncatura nell’inchiesta del Gambero Rosso

Tema centrale dell'inchiesta del sito enogastronomico è il comodato d'uso, "contratti che il barista firma spesso con leggerezza, ma dai quali difficilmente riesce ad uscire. E questo rende amarissima sia la tazzina sia la sua attività"

di F. Q.

Amato e celebrato in tutto il mondo, “il caffè italiano è il peggiore del mondo“. Questo, almeno, sostiene a partire dal titolo un articolo apparso sul Gambero Rosso il 15 gennaio 2024. Come mai? Tema centrale dell’inchiesta è il comodato d’uso, “contratti che il barista firma spesso con leggerezza, ma dai quali difficilmente riesce ad uscire. E questo rende amarissima sia la tazzina sia la sua attività”. Nel nostro Paese, spiega la testata enogastronomica, il sistema del comodato d’uso funziona in questo modo: “la torrefazione fornisce non solo i chicchi di caffè, ma anche macchina espresso, macinacaffè, tazzine, complementi d’arredo. Il tutto, spesso, a prezzi stracciati, a discapito della qualità e con contratti vincolanti”.

Interrogato sulla questione, Andrea Antonelli, torrefattore, trainer SCA e brand ambassador di Pulycaff, azienda di detergenti per macchine da caffè spiega al Gambero Rosso: “Il punto è che il barista è compiacente, non una vittima di questo sistema. Il comodato d’uso esiste, è una pratica comune in Italia, ma i baristi non sono costretti ad accettarla se la materia prima non è all’altezza. I torrefattori concedono spesso anche le attrezzature, trascurando il caffè, ma non è sempre così, ci possono essere formule vantaggiose per entrambe le parti. Fornire un macchinario a corredo può andar bene se il barista è preparato e conosce il prodotto; altrimenti, si troverà ad accettare l’offerta più conveniente senza porsi tante domande”.

Filicori Zecchini aggiunge: “Che i baristi vogliano risparmiare è indubbio, per questo spesso accettano proposte che non portano a nessun tipo di qualità, ma non sono questi i nostri clienti tipo. Dal 2001 abbiamo una scuola di formazione, i prezzi dei nostri prodotti sono chiari, quello che a noi interessa è avviare una partnership”. Il motivo per cui tanti baristi cedono a contratti che danneggiano la qualità dell’offerta non sarebbe solo il prezzo stracciato: “No, è un fattore prima di tutto culturale. Il barista conosce il rappresentante, firma il contratto, spesso neanche lo legge del tutto… è semplicemente uso e costume del bar all’italiana, un retaggio culturale che per fortuna si sta scardinando col tempo” chiosa.

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