Fino a 15mila persone sono state uccise nel 2023 nella sola città di Geneina, capitale della regione del Darfur occidentale in Sudan. Lo afferma un report delle Nazioni unite, ripreso da Reuters, che attribuisce la responsabilità del massacro alle forze paramilitari sudanesi di supporto rapido (Rsf) e alle milizie arabe loro alleate. Secondo l’Onu, entrambe le organizzazioni sono colpevoli di crimini di guerra e violenza etnica nel contesto della guerra civile in corso nel Paese, scoppiata lo scorso 15 aprile tra l’esercito capeggiato dal presidente de facto, Abdel Fattah al-Burhan, e le Rsf guidate dal suo ex numero due, Mohamed Hamdan Dagalo. Nel documento presentato al Consiglio di sicurezza, gli osservatori indipendenti attribuiscono i numeri a fonti di intelligence, definendo inoltre “credibili” le ricostruzioni secondo cui gli Emirati arabi uniti hanno “più volte” fornito armi ai paramilitariribelli tramite la base aerea di Amdjarass, nel nord del Ciad. Il governo di Abu Dhabi ha respinto le accuse, affermando che i 122 voli arrivati dal paese del Golfo hanno solo consegnato aiuti umanitari per i sudanesi in fuga dalla guerra.

“Le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale continuano senza sosta”, ha denunciato il 17 gennaio scorso il tunisino Radhouane Nouicer, esperto per il Sudan dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, esortando “i leader delle due parti in conflitto a porre immediatamente fine alla violenza”. Il Sudan è al momento lo Stato con il maggior numero di sfollati e la più grande crisi di sfollamento infantile al mondo: a nove mesi dallo scoppio della guerra, circa 7,6 milioni di persone – di cui la metà bambini – sono fuggite dalle proprie case. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), gli sfollati interni sono 6,1 milioni, mentre, in base ai dati forniti dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), circa 1,5 milioni di persone sono migrate nei Paesi vicini.

La regione del Darfur è stata da subito centrale nel conflitto: entrambe le parti ambiscono a controllarla in quanto zona privilegiata di accesso a punti strategici di confine attraverso i quali rifornirsi di armi dall’estero. Già lo scorso giugno un rapporto Onu aveva descritto le violenze arbitrarie compiute nell’area dalle Rsf, lanciando l’allarme sullo sterminio dei Masalit, il gruppo etnico maggioritario a Geneina fino a essere costretto a un esodo di massa. Solo tra il 14 e il 17 giugno in 12mila Masalit sono fuggiti a piedi per raggiungere il Ciad: una volta raggiunti i checkpoint delle Rsf, però, “donne e uomini sono stati separati, molestati, perquisiti, derubati e aggrediti fisicamente, mentre i paramilitari “hanno sparato indiscriminatamente alle gambe a centinaia di persone per impedire loro di fuggire”, si legge nel rapporto. “I giovani uomini sono stati particolarmente presi di mira e interrogati sulla loro appartenenza etnica e, se identificati come Masalit, venivano giustiziati sul posto con un colpo alla testa”, riferisce uno degli osservatori. Tutti i testimoni hanno osservato “molti cadaveri lungo la strada, compresi quelli di donne, bambini e giovani”. A dicembre gli Stati Uniti avevano formalmente stabilito che le parti in guerra in Sudan avevano commesso crimini di guerra e che le Rsf avevano commesso crimini contro l’umanità e di pulizia etnica verso le popolazioni non arabe.

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