Le crescenti tensioni tra i due leader militari rivali dovevano diventare violente, gravavano come le nubi di un temporale nel cielo di Khartoum da settimane. All’alba di sabato è partita la resa dei conti fra il generale Abdel Fattah al Burhan (a destra nella foto), generale e capo della giunta militare, e il suo vice Mohamed Hamdan Dagalo (a sinistra nella foto), l’uomo che tutti in Sudan chiamano Hemeti, che dispone di una milizia armata, la RSFForza di Supporto Rapido, discendente diretta dei sanguinari Janjaweed. Centomila uomini, armati come un esercito, compresi i carri armati, che stanno dando filo da torcere all’esercito regolare. Si spara nella capitale ma anche nella strategica città di Meroe, a Nyala, a Kassala, intorno le basi aeree vicine al confine egiziano. Non è una battaglia per la democrazia, è la resa dei conti tra due ex sodali del dittatore Omar al Bashir. La posta è il controllo totale di uno dei più grandi paesi africani.

I combattimenti scoppiati sabato mattina in una base militare a Khartoum si sono rapidamente estesi al palazzo presidenziale, all’aeroporto internazionale e alla sede dell’emittente statale. Mentre i residenti si rannicchiavano nelle loro case tra colpi di arma da fuoco ed esplosioni, gli aerei da guerra stridevano sui tetti a bassa quota. Dal tardo pomeriggio di sabato non è chiaro chi ha il controllo del paese. I paramilitari di Dagalo sembrano in vantaggio, più agili nel muoversi nelle strade della capitale rispetto all’esercito regolare, che dispone dell’Aviazione ma che è quasi inutile nei combattimenti urbani. E chi controlla Khartoum ha militarmente vinto.

Il tentativo della RSF di rovesciare al Burhan è arrivato dopo settimane di approfondite tensioni tra i due leader militari sulla prevista integrazione della Rsf nell’esercito regolare. Questo è stato un elemento chiave dei colloqui per finalizzare l’accordo per riportare il paese al governo civile e porre fine alla crisi innescata dal loro colpo di stato del 2021, che ha fatto deflagrare una crisi economica sempre più profonda in quello che è uno dei paesi più ricchi di risorse d’Africa ma tra i più poveri del mondo. 45 milioni di persone sempre sull’abisso dell’emergenza umanitaria.

Il capo della RSF Dagalo ha promesso di non mollare. “Non smetteremo di combattere fino a quando non cattureremo tutte le basi dell’esercito e gli onorevoli membri delle forze armate non si uniranno a noi”, ha detto al network Al Jazeera. Sulla stessa rete gli ha fatto eco Al Burhan: “Siamo stati attaccati, nessuna tregua, disarmeremo i paramilitari”. Creata nel 2013, l’RSF è emersa dalla milizia Janjaweed che l’allora dittatore Omar al-Bashir ha scatenato contro le minoranze etniche non arabe nella regione occidentale del Darfur un decennio prima, accusandole di crimini di guerra.

Anche il generale Al Burhan fu mandato in Darfur da Al Bashir ed è lì che entrò in contatto con il potente “signore della guerra” Mohamed Hamdan Dagalo. Dopo la rivoluzione del 2019 che fece cadere Bashir l’ex commerciante di cammelli si autonominò generale e trasformò la milizia nella Rapid Support Forces. Hemeti è l’uomo della Russia in Sudan come dimostrano le visite reciproche con Serghei Lavrov, il capo della diplomazia di Mosca. È chiaro quindi anche da parte stanno i numerosi mercenari della Wagner che proteggono le miniere d’oro del nord est.

Se lo prendiamo in parola, il generale Abdel Fattah al-Burhan è stato uno dei tre generali che nel 2019 è andato nella residenza del dittatore Omar al-Bashir – mentre le strade erano invase dalla folla che chiedeva democrazia – a dire che dopo 30 anni era finita. Quella conversazione deve essere stata difficile per il massimo generale del Sudan. Soldato veterano, Burhan era uno dei luogotenenti più affidabili del dittatore. Adesso, tre anni dopo, siede sulla sedia che fu di Bashir. Al Burhan è un buon amico del presidente egiziano Al Sisi – sono stati insieme in accademia – ma ha bisogno rapidamente di altri alleati.

Hemeti è poi enormemente ricco, è vicepresidente del consiglio militare di transizione e la sua famiglia e la RSF beneficiano enormemente del controllo delle miniere d’oro nel Darfur nonché del patrocinio di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. L’esercito del Sudan ha un budget minore della RSF. Queste fonti di potere e ricchezza si sono sentite minacciate dal governo a guida civile del Sudan promesso dagli accordi di dicembre entro i prossimi due anni.

Molte rapaci mani si allungano intanto sulle potenziali ricchezze del debole Sudan: la Cina, la Russia, la Turchia, gli Emirati, i sauditi, il Qatar, l’Egitto ovviamente. Persino gli americani hanno riaperto la loro ambasciata dopo dieci anni, così com’è tornata l’Unione Europea. Ma quest’Occidente perde terreno ogni giorno, offre aiuti e denari ma chiede in cambio riforme, elezioni, trasparenza. Esattamente ciò che al momento in Sudan nessuno può assicurare come dimostrano i kalashnikov che latrano per le strade di Khartoum.

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