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Dalla Supercoppa saudita un calcio ai diritti umani: ecco tutti quelli che perdono

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Stasera sapremo chi avrà vinto la Supercoppa italiana in Arabia Saudita. Sappiamo già, invece, chi ha perso: i diritti umani.

Ha perso Salma al-Shehab, madre di due figli, dottoranda dell’Università di Leeds, attivista per i diritti delle donne, che ha appena terminato il terzo anno in carcere. Ne dovrà passare altri 24 dietro le sbarre. Il motivo? Ha osato scrivere dei tweet sgraditi al governo.

Ha perso un insegnante in pensione, Muhammad al-Ghamdi, condannato a morte per “uso dei profili social per seguire e promuovere utenti che cercano di destabilizzare l’ordine pubblico” e “simpatia per persone in carcere per accuse di terrorismo”: aveva scritto, su un profilo X che contava sì e no 10 follower, cinque post che criticavano la corruzione e le violazioni dei diritti umani.

Hanno perso le famiglie separate: chi è in esilio non può tornare in Arabia Saudita, i dissidenti che hanno terminato di scontare la pena hanno il divieto di espatrio.

Ha perso la campagna per l’abolizione della pena di morte: è sembrato accettabile andare a giocare a calcio in uno stato nel quale, sotto Mohamed bin Salman, ci sono state oltre 1250 esecuzioni.

Rischiano di perdere Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad, entrambi minorenni all’epoca dei presunti reati per i quali sono stati condannati a morte. Hanno esaurito ogni possibilità di ricorso giudiziario e la loro esecuzione potrebbe avvenire da un giorno all’altro.

Ha perso, infine, Hatice Cengiz, la vedova di Jamal Khashoggi che da anni chiede, inascoltata, che il calcio non si rechi in Arabia Saudita a omaggiare colui che è sospettato di aver ucciso il giornalista.

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