Anche Rafa Nadal cede ai petroldollari. Il campione maiorchino è diventato ambasciatore della Federazione Tennis dell’Arabia Saudita. Il suo nuovo ruolo è stato annunciato lunedì con un breve comunicato stampa. La mossa di assoldare Nadal, 22 titoli Slam, fa parte del programma Vision 2030. Lo spagnolo sosterrà “lo sviluppo del tennis tra i ragazzi e le ragazze del Regno”, spiega la federazione saudita, mentre si vocifera perfino della costruzione di un’accademia a Riad. La partnership, insomma, è a lungo termine: “Ovunque guardi in Arabia Saudita puoi vedere crescita, progresso e sono entusiasta di farne parte”, ha dichiarato lo spagnolo. Dietro la patina da favola, però, c’è l’ennesima operazione di sportwashing del regime di Bin Salman, che continua ad assoldare sportivi di successo per tentare di abbellire la propria immagine nel mondo.

La “Vision 2030” fu lanciata nel 2017 proprio dal principe bin Salman: un potente piano di sviluppo, secondo la narrativa ufficiale, per diversificare l’economia e creare maggiori opportunità per i giovani e le donne. Un tentativo di ribaltare l’immagine della monarchia legata all’integralismo wahhabita, nascondendo dietro a una patina di crescita e modernità le sistematiche violazioni dei diritti umani. Lo sport, soprattutto recentemente, è diventato parte integrante di questa strategia. I gran premi di Formula 1, il golf, la Dakar, i Giochi invernali asiatici da disputare su una montagna costruita dal nulla. E pvviamente il calcio: l’acquisto del Newcastle, l’arrivo in Arabia di Cristiano Ronaldo e poi a cascata di altri campioni (più o meno decadenti) pagati a suon di petroldollari, la chiamata di Roberto Mancini come ct.

L’organizzazione del Mondiale di calcio del 2034l’assegnazione ormai pare una formalità – è l’apice di questa strategia, per fare come e meglio dei nemici qatarioti. Ma anche il tennis riveste un ruolo importante. L’Arabia Saudita ha già strappato a Milano l’organizzazione delle Next Generation ATP Finals, che nel 2023 per la prima volta si sono disputate a Jeddah. E ora punta anche a soffiare a Torino le ATP Finals: il contratto scade nel 2025, Torino vorrebbe rinnovare fino al 2027. Intanto il regime saudita si assicura di aver al suo fianco il volto vincente di Nadal, che sta provando a chiudere la sua carriera sul campo dopo un lungo infortunio (agli Australian Open ha dovuto dare forfait).

Intanto lo spagnolo prepara il terreno per il futuro: “Rafael Nadal trascorrerà del tempo ogni anno nel Regno, per aiutare lo sviluppo dei giovani ragazzi e ragazze in questo sport e per aumentare l’interesse delle giovani generazioni per il tennis”, spiega sempre la Federazione saudita, che auspica appunto lo sviluppo a Riad di “un’Accademia Rafa Nadal, per supportare i giovani talenti e fungere da centro di eccellenza per aiutare i giovani giocatori a realizzare i loro sogni”. Il maiorchino commenta: “Gioco ancora a tennis e lo adoro. Questo, ma oltre a giocare, voglio aiutare questo sport a crescere in tutto il mondo e c’è un potenziale reale in Arabia Saudita”. Mistero invece su quale sia la cifra che lo abbia convinto ad “abbracciare” il progetto del regime saudita.

“Il nuovo ruolo di Rafa Nadal è solo l’ultimo capitolo dell’instancabile operazione di sportwashing da parte dell’Arabia Saudita”, ha affermato Peter Frankental, direttore degli affari economici di Amnesty International UK. L’organizzazione a difesa dei diritti umani ha esortato il campione spagnolo a utilizzare il suo nuovo ruolo di ambasciatore per portare alla luce le preoccupazioni sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita. “Dal tennis al calcio, dal golf alla boxe, le autorità saudite hanno speso miliardi nei loro sforzi per rinominare il Paese come una superpotenza sportiva e distogliere l’attenzione da uno spaventoso record contro i diritti umani. Come altre stelle dello sport che accettano lavori ben retribuiti in Arabia Saudita, esortiamo Nadal a parlare apertamente della situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, offrendo un importante messaggio di solidarietà con i difensori dei diritti umani incarcerati nel paese”, dichiara Amnesty International.