Fronti di guerra aperti, fronti di guerra possibili, economie in crescita e altre in caduta libera, una platea potenziale di 3,7 miliardi di persone, allenatori di seconda e terza fascia a caccia di gloria e di denaro. L’edizione numero 18 della Coppa d’Asia, in programma in Qatar dal 12 gennaio al 10 febbraio 2024, è lo specchio di un continente in continua ebollizione. In campo 24 squadre, poco più della metà delle 47 che compongono la confederazione con sede a Kuala Lumpur, in Malesia: 6 gironi da 4, passano agli ottavi le prime due di ogni gruppo, più le quattro migliori terze. In Italia, fari puntati sull’Arabia Saudita di Roberto Mancini e su vecchie conoscenze della nostra serie A: Jurgen Klinsmann (ct della Corea del Sud), Hèctor Cuper (Siria), Katanec (Uzbekistan). In generale, domina la scuola della ex Jugoslavia: 3 tecnici croati (Ivankovic-Oman, Stimac-India, Segrt-Tagikistan), 2 serbi (Jankovic-Cina, Tarkovic-Kirghizistan), 1 montenegrino (Radulovic-Libano). Solo Giappone (Moriyasu), Australia (Arnold) e Iran (Ghalenoei) sono guidati da coach di casa.

La guerra in corso a Gaza dal 7 ottobre, con i suoi orrori senza fine, domina le coscienze collettive. Tra le 24 squadre al pronti via c’è anche la Palestina, posizione numero 99 del ranking Fifa, affidata a un allenatore tunisino: Makram Daboub. La nazionale è sbarcata in Qatar il 2 gennaio. I giocatori sono naturalmente sintonizzati in tempo reale con le famiglie e con i fatti in corso a Gaza. C’è chi ha perso parenti, chi amici, chi la casa. Le ore scorrono in un’atmosfera di lutto perenne: il 6 gennaio è morto sotto i bombardamenti Hani Al-Masdar, ct della nazionale olimpica. Secondo una nota della federazione palestinese, dal 7 ottobre sono stati uccisi 88 tra giocatori e giocatrici degli sport di squadra, di cui ben 67 solo nel calcio. “Scendere in campo e giocare è molto complicato – le parole di Daboub – ma noi, come sempre, daremo il massimo non solo per noi, ma anche per la nostra gente”. Fare calcio in Palestina è complicatissimo. Anche nei momenti di minor tensione, le autorità israeliane hanno reso la vita impossibile ai giocatori. Con la guerra in corso a Gaza è stato occupato lo stadio principale, ripetendo lo schema già collaudato dall’esercito statunitense in Iraq. Violare il calcio significa umiliare ulteriormente la sensibilità di alcuni paesi. In Palestina il football ha un seguito enorme.

Ma ci sono altri fronti caldi a rendere questa Coppa d’Asia un unicum. In Siria dal 15 marzo 2011 è in corso la guerra civile che ha distrutto il paese e provocato la diaspora di milioni di profughi. Il Libano vive in uno stato di precarietà perenne. L’Iran il 3 gennaio è stato scosso dall’attentato che ha prodotto la morte di 103 morti durante la commemorazione di Soleimani, mentre il boia del regime continua a eseguire condanne a morte in grande scala. Il romanista Azmoun è una delle poche voci che hanno avuto il coraggio in questi anni di sfidare la teocrazia di Teheran. La presenza di Hong Kong, con la sua nazionale che in posizione numero 150 del ranking è la più debole del panorama, pone una delle questioni cinesi.

Tra guerre, morti, regimi, oscurantismo e violazione dei diritti umani, l’Asia esprime un calcio più ricco rispetto al fratello africano, ma più povero nei contenuti tecnici. L’Arabia Saudita cerca il successo dal 1996: “L’obiettivo è vincere e lavoreremo per la crescita del football saudita”, le parole di Roberto Mancini. Giappone, Iran, Corea del Sud e Australia sono le squadre migliori. L’Iraq ha una passione sconfinata, ma paga ancora il prezzo della guerra. Il Qatar, campione in carica, dopo la figuraccia al mondiale 2022, è di nuovo nelle mani di un ct spagnolo: Tintìn Màrquez. Cina e India, giganti economici e con 2,8 miliardi di abitanti, sono sempre all’anno zero. Il montepremi assegna 4,5 mln di euro al vincitore. Si gioca in nove stadi nel raggio di 50 km. Il Qatar si gioca molto: sul piano sportivo, ma anche su quello politico. I tentativi di pace nel conflitto in corso a Gaza passano in buona parte nella rete di rapporti di questo emirato. La Palestina è la più attesa: come si possa pensare e giocare a calcio, con le cronache degli orrori quotidiani, resta un mistero.

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