L’anno appena finito ha portato l’ultima cattiva notizia ai piemontesi preoccupati per la situazione della sanità nella loro regione: la gara per la costruzione dell’Ospedale di Novara è stata sospesa per mancanza di concorrenti. Un gioco dell’oca infinito: a circa cinque anni dalla sua indizione, si ricomincia daccapo, i novaresi continueranno ad andare a farsi curare a Milano. Condizioni sempre più favorevoli, eppure nessun operatore privato ha voluto candidarsi a progettare, costruire e gestire per un ventennio circa il nuovo ospedale-clinica universitaria.

L’iter si perde nella notte dei tempi e i fallimenti novaresi sembra che facciano a gara a rincorrersi con quelli della Città della Salute di Torino, anch’essa ferma al palo fra rinvii e rincari. Gli unici a trarre vantaggi, esperienziali ed economici, da questi disastri sono i consulenti esterni ingaggiati per aiutare le Aziende sanitarie a portare a termine le gare con successo, gli advisor. Nemmeno una zolla è stata smossa, ma nonostante i risultati negativi gli advisor – insegnano le esperienze piemontesi – continuano ad essere incaricati, scavalcando una pubblica amministrazione impoverita e stremata, che non è più in grado di controllare proposte e processi. Privatizzato anche il controllo, lo spolpamento dello Stato si fa anche così.

Il fuggi fuggi degli imprenditori, persino con condizioni sempre più favorevoli per loro, qualche riflessione la impone. Prima dell’ubriacatura del “privato è bello” un ospedale sarebbe stato realizzato impegnando funzionari e tecnici pubblici a governare la progettazione, la costruzione e poi la gestione dell’opera, ricorrendo al privato solo per le competenze non disponibili nella struttura o per lo svolgimento di attività la cui gestione interna fosse antieconomica.

Un ospedale è un contenitore di tecnologie e di strutture in continua trasformazione. Per governarne la realizzazione ci vogliono soggetti che lavorano in sintonia con tutti gli addetti per produrre la migliore sintesi costruttiva e funzionale, tenuto conto dei bisogni degli assistiti. La garanzia circa la qualità del progetto sta nel fatto che sarà lo stesso gruppo di persone ad occuparsi del suo utilizzo e della sua gestione. Così la committenza pubblica controlla e gestisce l’intero processo con propri dipendenti, producendo una ricaduta importante nell’arricchimento delle competenze, così potranno essere ancor meglio applicate nelle successive iniziative.

Purtroppo l’ideologia blocca tutto e per ora, nonostante il danno costituito dagli insuccessi, nulla è cambiato: negli anni ’90, quelli delle furenti liberalizzazioni e delle svendite dei beni pubblici, prese piede con prepotenza l’idea che le opere pubbliche si potessero fare impegnando i privati, concedendo loro un congruo numero di anni di gestione. Si tratta del “sistema autostrade”: tu la costruisci, io te la faccio gestire per gli anni necessari a recuperare l’investimento attraverso i pedaggi. Questa la storiella per i creduloni. Il crollo del ponte Morandi a Genova ha mostrato una realtà tutta diversa, particolarmente odiosa, dolorosa e costosa.

Tuttavia il Parternariato Pubblico Privato (PPP) è stato lo stesso esteso anche ad opere pubbliche diverse da strade e autostrade. La Corte dei Conti si è preoccupata a più riprese di certificarne l’onerosità e la scarsa funzionalità, ma invano. Il PPP prevede che l’ente pubblico possa ricevere una proposta con la quale un privato si candida a realizzare e gestire l’opera pubblica desiderata, indicando condizioni e costi economici. Poi, dopo essere stata accolta, viene posta a base dell’asta indetta per l’affidamento della realizzazione a cui possono a partecipare anche altri operatori economici. Nel caso degli ospedali di Torino e Novara, oltre all’affidamento della gestione per un congruo numero di anni, è previsto anche un contributo pubblico che si aggiunge all’investimento privato. Sembrerebbe un buon affare per il privato che investe; allora perché scappano?

Chi vuole candidarsi a costruire e realizzare un ospedale deve fare i conti con costi molto alti di predisposizione delle proposte progettuali e finanziarie. Ad esempio, di recente, un PPP per un ospedale piemontese ha dichiarato un costo di 4.900.000 di euro solo per la predisposizione della proposta. Risulta difficile pensare ad un operatore economico che prenda l’iniziativa di investire somme così importanti senza aver ricevuto una qualche rassicurazione circa il positivo esito dell’iniziativa. Conoscendo questo stato di cose, quale altro operatore economico deciderà di partecipare alle gare successive, quando, in caso di mancato successo, il danno economico sarà così alto?

Tornando ai dati della gara di Novara, sembrerebbero dimostrare una buona redditività dell’investimento privato, eppure è andata deserta. Forse non è solo questione di soldi: progetti così complessi richiedono competenze finanziarie costruttive, impiantistiche e gestionali di alto livello, tutt’altro che comuni. Un’autostrada non è la stessa cosa che un ospedale. Forse, nessun operatore privato se la sente di rischiare reputazione e capitali importanti in imprese che non può/sa controllare completamente. D’altra parte nessuno dei grandi gruppi sembra disporre al suo interno di tutte le competenze che servono a governare i processi complessi e costosi alla base della costruzione/gestione di ospedali. Solo la parte pubblica può creare strutture capaci di allestire e governare processi così, dettando al privato le condizioni per la messa a punto delle soluzioni da applicare ai problemi concreti.

I danni della Giunta Cirio in questo campo non sono recuperabili, ma si può invertire la rotta per contenere quelli a venire. Basterebbe concentrare le risorse pubbliche disponibili sui due ospedali di Torino e Novara, realizzandoli con le procedure tradizionali, più semplici del PPP. Il ceto politico piemontese però di questa ricetta non ne vuole sapere. Meglio la complessità fumosa dietro la quale nascondere incompetenza, sciatteria e inadeguatezza.

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