“Il lavoro? Non parliamo degli assenti”, dice il giovane comico salentino Federico Sanfrancesco (visto su Rai2 di recente). Eppure il lavoro è al centro del dibattito da decenni (ci abbiamo fondato una Repubblica). Difficile coglierne tutte le dimensioni, ma proveremo a fotografarne alcune traiettorie future, chiedendoci: come lavoreremo fra 10 anni?

Alcuni cambiamenti in atto hanno impatti già evidenti anche sul lavoro. Le restrizioni anti-Covid hanno accelerato la virtualizzazione di molte attività, dando vita a un altro contagio: il lavoro da remoto, anche noto come “smart working” (benché ci fosse poco di “smart”). Viaggiamo ad alta velocità verso un lavoro assai più high tech. Automazione, intelligenza artificiale, stampa 3D, sensori, droni: sono alcune delle applicazioni della tecnologia al lavoro.

Stiamo inoltre assistendo a fenomeni come le “grandi dimissioni”, il movimento YOLO (you only live once: si vive una volta sola), la richiesta diffusa di orari flessibili ed equilibrio vita/lavoro, la spinta all’interconnessione tra mondi e verso l’impatto sociale (ESG, dicono). Tutti segnali del bisogno di dare senso a ciò che facciamo e rivedere le priorità vitali. L’incremento delle disuguaglianze sta trasformando la società e l’economia, insieme al calo demografico e all’invecchiamento della popolazione, portando a un mercato del lavoro in tumulto, tralasciando la delicata questione di dover lavorare per uno stipendio, in assenza di condizioni per poterci riuscire. Dulcis in fundo (si fa per dire), i cambiamenti climatici: causano finanche rivoluzioni positive come i “green jobs”, ma anche enormi sfide come la diminuzione delle “ore lavorabili” in un’Italia sempre più tropicale.

Scenari di opportunità: un lavoro buono, pulito e giusto

Il lavoro davvero smart e remoto di domani potrebbe superare vari disagi di oggi: traffico, caro affitti, inquinamento, spopolamento di aree interne, epidemie. Immaginiamoci il sud o le nostre montagne piene di vitalità e connessioni, con spazi di co-working e centri culturali ricchi di dialogo tra generazioni. Pensiamo anche a organizzazioni in ogni ambito impegnate nella tutela ambientale e attente ai bisogni sociali e a contesti inclusivi. Imprese, pubbliche e private, che sanno valorizzare differenze di genere, età, culture e abilità.

Scenari critici: esclusi contro algoritmi

Non basterà avere dimestichezza con email e whatsapp; d’altra parte, specializzarsi in materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) non sarà un’opzione per tutti (anzi). Una gran fetta di popolazione non avrà accesso alle opportunità del futuro; ricordate il digital divide? Non l’abbiamo mai colmato. Le macchine sostituiranno non solo numerosi mestieri manuali (altro che rinascimento artigianale), ma anche molte attività intellettuali. In questo futuro, molte persone resteranno a casa, incapaci di riqualificarsi. Con l’invasione dei chip (anche indossabili o impiantabili) i nostri capi, spesso non umani (algoritmi che già possono licenziare), controlleranno ogni nostra azione, e forse i nostri pensieri.

Transizioni possibili: tra post-umano e dis-umano, viva il lavoro umano

Utopie e distopie presentano sempre diversi orizzonti alternativi. Non è certo che si verificheranno, perché sono molte e imprevedibili le variabili in gioco. Anticiparne gli sviluppi ci permette di coltivare futuri sperati e mitigare gli effetti negativi di cambiamenti inevitabili (vedere alla voce “clima”). Se predominerà il virtuale, crescerà per paradosso il valore dell’incontro diretto, del contatto umano. Niente più badge e tornelli: al loro posto riunioni feconde e rapporti significativi, valorizzando il senso di appartenenza.

Invece di esaltare la tecnologia come rimedio universale o contrastarla come nuovi luddisti, va allenata sin dall’infanzia la capacità di cooperazione tra persone e macchine. E già che ci siamo, ripartiamo dalla tenera età alimentando l’intelligenza relazionale e le competenze del sé, per aiutarci a costruire rapporti autentici e maturi tra persone. Il grande insegnamento che possiamo trarre da questi anni turbolenti è la necessità di sviluppare una mentalità flessibile e aperta al cambiamento: una agilità di pensiero che ci consenta di procedere in modo sperimentale, accettando prove ed errori. In tempi difficili, lavoriamo alle condizioni per un lavoro che permetta sul serio di crescere interiormente, di esprimere se stessi ed esaltare qualità etiche e morali.

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