Secondo mandato per Félix Tshisekedi: la proclamazione ufficiale dei risultati elettorali in Repubblica Democratica del Congo non ha riservato sorprese, ma è frutto di un voto caotico e disorganizzato. Tant’è che alcuni dei candidati il giorno stesso del voto, a urne ancora aperte, già chiedevano l’annullamento degli esiti e la ripetizione. Del resto, le sfide organizzative e logistiche erano enormi, per quello che è considerato il forziere del mondo per le sue enormi ricchezze naturali: un Paese grande come l’Europa occidentale e privo di strade e infrastrutture, giunto alla vigilia della data elettorale con seggi ancora da allestire, kit elettorali mancanti e molte conseguenti irregolarità. Come già raccontato, si è voluti ricorrere al voto elettronico, ma moltissime delle machines à voter mostravano malfunzionamenti, o si sono scaricate a metà giornata.

Moltissimi i seggi che non hanno aperto all’orario prestabilito, fino al paradosso che – per provare a garantire il diritto di voto – le operazioni che dovevano svolgersi e concludersi in una sola giornata, con un’apertura massima dei seggi di 11 ore consecutive, in certe zone del Paese sono iniziate uno, due, addirittura tre giorni dopo. In alcune località si è votato fino al 26 dicembre, mentre in altri seggi da giorni erano già affissi gli esiti dello spoglio.

Tante persone, dopo snervanti ore di fila alle urne, hanno rinunciato a esercitare il proprio diritto. E questo spiega in parte una percentuale d’affluenza bassa per una democrazia giovane come quella congolese: come ufficialmente proclamato questo pomeriggio, solo il 43% degli aventi diritto ha votato. Il secondo fattore che ha inciso su questo dato è una scarsa affezione degli elettori alla politica, che ha disatteso in pochi anni molte delle promesse fatte e ha rapidamente bruciato il credito di attese e speranze, in un paese che ha votato per la prima volta nel 2006, dopo trent’anni di dittatura di Mobutu e anni di guerra civile.

Secondo eletto è risultato Moise Katumbi, ex governatore del Katanga, che si diceva sicuro della vittoria e che ha ufficialmente ottenuto solo il 18% delle preferenze. Infinitesime le percentuali degli altri sfidanti, compreso il Nobel per la pace 2018, il dott. Denis Mukwege, che si sarebbe fermato allo 0,22%. A ritardi e disguidi tecnici, si sono sommate numerosissime irregolarità e veri e propri brogli, già segnalati da varie missioni di osservazione elettorale e riconosciuti dalla stessa Commissione Elettorale Nazionale Indipendente, che durante la proclamazione degli esiti ha oggi promesso che gli autori saranno perseguiti a norma di legge.

Da segnalare un episodio gravissimo: Laurent Delvaux, esperto informatico belga del team di osservatori elettorali in missione per conto dell’Unione europea, è “caduto dal dodicesimo piano” dell’hotel Hilton dove soggiornava. La stampa locale ha parlato di “suicidio”, ma una primissima versione dei fatti raccontava invece che il 47enne fosse stato trovato morto nella sua stanza d’albergo. Un’inchiesta è stata aperta, ma l’episodio rischia di finire in secondo piano, nonostante la sua gravità.

Tutti questi elementi sollevano perplessità sugli esiti del voto: se anche Tshisekedi avesse davvero ottenuto la maggioranza nelle urne, come ritenere credibile un processo elettorale con tali e tante défaillances? Nove oppositori hanno infatti diffuso – prima della proclamazione ufficiale dei risultati – un comunicato congiunto in cui, dopo aver elencato le più macroscopiche irregolarità e frodi, rifiutano l’esito del voto, ne chiedono l’annullamento, esigono una nuova tornata elettorale con una Commissione elettorale rinnovata e davvero indipendente e infine chiamano la popolazione alla mobilitazione su tutto il territorio nazionale. Ciononostante, la Corte costituzionale validerà quasi sicuramente i risultati. Resta da vedere come reagirà la piazza e quante persone accetteranno la versione ufficiale.

Nel suo discorso di ringraziamento Tshisekedi ha rinnovato le promesse elettorali, in particolare di migliorie economiche e sulla sicurezza e la stabilità. Ha parlato di diritto a cure sanitarie gratuite, rinnovando l’annuncio di parto gratuito per tutte le donne e il consolidamento del diritto all’istruzione gratuita. Questo in effetti è stato uno dei più tangibili esiti dei suoi primi cinque anni come presidente: la scuola primaria è diventata gratuita per tutti. Una grande conquista, indubbiamente, anche se i detrattori sottolineano che non basta rendere gratuita la scuola, quando le classi sono in sovrannumero, gli insegnanti pagati una miseria e gli edifici scolastici fatiscenti e indegni.

Le sfide restano enormi. In particolare la pace: tre territori, fra cui Rutshuru e Masisi, nel Nord Kivu, non hanno potuto nemmeno votare, perché sotto controllo deli guerriglieri dell’M23. E in campagna elettorale, Tshisekedi ha usato parole di fuoco nei confronti del presidente rwandese Paul Kagame, definito nuovo Hitler, verso cui ora il governo sarebbe pronto anche a dichiarare guerra. Parole da campagna elettorale? O davvero si andrà allo scontro diretto? Di certo, una prospettiva che stride con la promessa di miglioramenti economici e prosperità per tutto il paese.

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