Corsi e ricorsi, piatti e ripiatti. In mezzo alle diatribe in Europa su stoviglie e imballaggi, mentre i governi, i ministri dell’ambiente e le stesse associazioni ambientaliste litigano su virtù e vizi dei materiali biocompostabili, ecco tornare di soppiatto (di sop… piatto!) i piatti di plastica, quelli sottili, tradizionali, che erano stati banditi, o almeno così credevamo.

Qual è il trucco? E’ che piatti in tutto e per tutto simili ai piatti monouso di plastica, quelli bianchi e leggeri che hanno popolato soprattutto il Sud Europa e l’Italia negli scorsi decenni, vengono dichiarati sull’etichetta come riutilizzabili, oltre che riciclabili. Sono leggermente, quasi invisibilmente, più spessi di quelli di qualche anno fa. Vengono posti in vendita a un prezzo inferiore rispetto a quelli in plastica biocompostabile o rispetto a quelli di carta, e finora hanno resistito alle (poche) voci che hanno protestato per quella che sembra una furbizia totale.

La legge italiana di recepimento della direttiva europea Sup (Single Use Plastic) aveva stabilito che sono illegittimi gli usa e getta in plastica tradizionale, ammettendo solo quelli in plastica bio o in carta. Da Bruxelles si obiettava che dovevano essere fermati anche quelli in plastica bio. Ma – di soppiatto, appunto – si apparsi gli autoproclamati riutilizzabili e stanno conquistando quote di mercato. Al punto che, come ha confessato un produttore a Eco dalle Città, ormai le ditte che producono queste stoviglie bio stanno andando in crisi e ricorrendo alla cassa integrazione.

Il problema è che la Direttiva Sup, contro la plastica monouso, non precisava con dettagli cosa si dovesse intendere per riutilizzabile. E un piatto di pochi millimetri diventa riutilizzabile. Certo, volendo si può riutilizzare qualunque cosa almeno un paio di volte, anche un fazzoletto di carta sporco.

Ora la domanda è: quante volte si può lavare con acqua calda o in lavapiatti un “ripiatto” di quel genere senza che inizi a spappolarsi? Innanzitutto c’è da dire che quasi nessuno probabilmente compra questi pacchi con decine di piatti leggerissimi con la intenzione di lavarli e riutilizzarli. Nell’iter non ancora concluso del regolamento europeo per gli imballaggi è stato inserito un emendamento che dice che è riutilizzabile un imballaggio in grado di essere usato almeno dieci volte senza perdere qualità. Ma che significa, chi lo certifica e come?

E comunque, nel caso di questi piatti c’è anche il paradosso che vengono considerati imballaggi solo quando vengono forniti o venduti con il cibo dentro, altrimenti sono oggetti, stoviglie.

Forse un punto di intesa tra sostenitori del riutilizzo senza se e senza ma e sostenitori del biocompostabile e dell’usa e getta compatibile potrebbe essere quello di vietare questi “riutilizzabili” talmente leggeri da risultare finti. Altrimenti tra poco – oltre a mandare in cassa integrazione le ditte che facevano piatti bio – ritorneremo alle indigestioni di plastica usata e gettata come se niente di nuovo, di veramente nuovo, fosse stato inventato.

Anzi, è peggio. Questi di plastica di polipropilene vengono venduti come riciclabili. Lo sarebbero anche ma di fatto non possono essere riciclati. Infatti non sono considerati imballaggi, non pagano il contributo ambientale e non sono accettati nel percorso del riciclo degli imballaggi. Si definiscono riutilizzabili e riciclabili contemporaneamente – quasi un unicum – ma di fatto non vengono riutilizzati né possono essere riciclati. Qualcuno interverrà?

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