Nei campi improvvisati dove sono stati costretti a rifugiarsi centinaia di migliaia di sfollati dal nord della Striscia di Gaza manca tutto: l’acqua, le medicine, i servizi igienici e persino la legna per poter fare un fuoco e cucinare. “Non c’è più legna e andarla a recuperare può essere molto pericoloso a causa dei bombardamenti” racconta Ammar agli operatori di Oxfam. “Bruciamo oggetti di plastica, tessuti e scarpe per riscaldare la poca acqua che c’è e cucinare. Qui non esistono più ricchi o poveri, conosco persone che appartengono all’elite che ora fanno code di due ore anche solo per fare una doccia. Tutti hanno fame e nessuno ha da mangiare”. Ammar vive con la sua famiglia in una tenda ad Al-Mawasi, a ovest di Khan Younis, un’area definita dall’esercito israeliano come sicura. “Hanno detto una bugia. Sentiamo i bombardamenti e gli spari qui vicino. E allora ci chiediamo se esiste davvero un posto sicuro”.
Il racconto fa parte di una serie di testimonianze raccolte dagli operatori e dai manager di Oxfam a Gaza che ilfattoquotidiano.it ha deciso di pubblicare. L’obiettivo è avere un racconto in prima persona da parte dei civili a Gaza, coloro che in questo momento stanno pagando il prezzo più alto del conflitto.
LA PETIZIONE – Nessuna risposta umanitaria significativa potrà esserci senza un immediato cessate il fuoco. Per questo Oxfam ha lanciato un appello urgente al governo italiano e ai leader europei a cui si può aderire su: https://www.oxfamitalia.org/petizione-gaza/