La sentenza sul caso Saman Abbas, emessa ieri dalla Corte di Assise di Reggio Emilia, ha visto condannare i genitori di Saman all’ergastolo,
lo zio Danish alla pena di 14 anni di reclusione, mentre i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq sono stati assolti.
Questa sentenza è stata emessa nel contesto di un processo che ha attirato molta attenzione mediatica per la sua natura tragica e le implicazioni sociali.

Saman Abbas, era una giovane pakistana di 18 anni, il cui omicidio è avvenuto tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021, dopo che la sua famiglia si era trasferita a Novellara vicino a Reggio Emilia per coltivare frutta. La vicenda ha messo in luce tematiche complesse come il conflitto tra cultura tradizionale e modernità, nonché la problematica dei matrimoni forzati e del cosiddetto “omicidio d’onore”.

Secondo le indagini, la giovane aveva rifiutato un matrimonio combinato in Pakistan, scelta che aveva provocato l’ira della sua famiglia.
Saman aveva fatto tutto quello che lo Stato chiede di fare, aveva denunciato le vessazioni e le minacce volte a costringerla a sposarsi contro la sua volontà, ed era entrata in un circuito di protezione. Ma è a questo punto che è scattato un cortocircuito, perché in tali contesti familiari retrogradi, sessisti e criminali i documenti delle figlie femmine sono “confiscati” dal padre, in modo da averne un controllo totale.

Saman è tornata a casa con la promessa che le sarebbero stati restituiti il permesso di soggiorno e il passaporto, documenti che rappresentano libertà, autonomia ed indipendenza per una cittadina extracomunitaria, in assenza, purtroppo, ancora oggi, di una seria legge sulla concessione della cittadinanza italiana. A tradirla è stata la madre, la donna che dovrebbe essere la colonna portante nella vita di una figlia e che invece l’ha consegnata nelle braccia della morte.

Questo tragico evento ha scatenato un dibattito in Italia e nel mondo sull’importanza della protezione dei diritti umani universali, indipendentemente dal background culturale, e sulla necessità di un’integrazione che rispetti la dignità e l’autonomia individuale, in particolare delle donne. Il caso di Saman Abbas ha rappresentato quindi non solo una tragedia personale, ma anche un monito a riflettere sulle sfide che le società multiculturali devono affrontare nel proteggere i più vulnerabili, promuovendo al contempo un dialogo costruttivo tra culture diverse.
Un dialogo non più rinviabile.

Saman è diventata un simbolo della lotta contro la violenza di genere e l’oppressione culturale.

Nessuno potrà restituirle la vita ma la sentenza, che è stata pronunciata ieri, facendo giustizia forse soltanto in parte, è importante perché può aprire uno spiraglio nella coltre di omertà che circonda i matrimoni forzati.

Chi denuncia questo reato deve sapere che avrà lo Stato dalla sua parte.
Grazie alla proposta di legge che ho scritto assieme a Senza Veli sulla lingua e a Telefono Rosa, per esempio, sarà possibile concedere immediatamente il permesso di soggiorno a quante di loro avranno il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine proprio per evitare ciò che accadde a Saman. Non siamo riusciti a salvare Saman, ma abbiamo il dovere di impedire che ci siano altre vittime dopo di lei.

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