Una cosa ho appreso dalla vita con ormai sconsolata certezza: ovunque vi sia un messaggio moralistico, chiunque si faccia latore di quello stesso messaggio spesso nasconde qualcosa di malato, illegale e turpe. Quanto più una teoria o posizione – insomma – si presenta in grado di distinguere nettamente, e ovviamente incarnare, il giusto e opportuno, contro altre teorie o posizioni che, se prevalenti, imporrebbero il male e l’ingiusto, tanto più si può star certi che i titolari o sacerdoti della teoria benefica nascondono intenzioni e comportamenti tutt’altro che commendevoli.

A questo si aggiunga che l’atteggiamento moralistico è inseparabile da una comunicazione di tipo retorico, tanto abile quanto netta nel distinguere colpevoli e innocenti.

Ma, come insegnava per esempio il libro di Carlo Michelstaedter (La persuasione e la rettorica, 1910), laddove prospera la retorica, latitano profondità e conoscenza. La prima è confortante, rassicurante, agevole da maneggiare (poiché per incarnarla è sufficiente fare buon uso delle parole imposte dall’ideologia di turno). Le seconde sono inquietanti perché incerte, continuamente esposte alla mutazione, ma soprattutto faticose perché richiedono l’arte dello studio e l’esercizio di un pensiero autonomo e critico.

Il guaio è che la nostra epoca risulta infarcita di retorica, quindi di moralismi, quindi di posizioni nette e di comodo che spesso nascondono insipienza e/o delinquenza perfettamente contrapposti al messaggio moralistico portato avanti.

Era moralismo retorico quello di Giorgia Meloni che sbraitava per l’uscita dall’euro, o che faceva i video alle pompe di benzina per denunciare l’ingiustizia delle accise sui carburanti. Colei che in generale assumeva ed esprimeva posizioni populiste, salvo poi capitanare quello che si sta rivelando come il governo più antipopolare della storia repubblicana, capace di inanellare misure contro classe media e fasce sociali più deboli come mai si era visto prima. Ma era moralismo retorico anche quello del tuttora deputato della Repubblica Soumahoro, quando voleva illudere tutti di essere un combattente per gli emarginati entrando in parlamento con gli stivali da lavoro.

Sono solo due degli esempi più estremi rintracciabili dalla cronaca politica. Ma episodi di moralismo retorico si possono trovare dietro a ogni angolo. Basti pensare a un ministro dell’Istruzione che vuole illudere le masse di darsi da fare per l’educazione sentimentale degli studenti inserendo il discorso del padre di Giulia Cecchettin tra gli argomenti scolastici: “Un’esemplare lezione di educazione civica rivolta al Paese”, la definisce Valditara nella sua lettera ai dirigenti scolastici.

Già, il problema è che per educare i ragazzi alla tragica e meravigliosa contraddittorietà del mondo umano, alle sue altezze e bassezze come anche alle virtù civiche, sono necessari i grandi classici della letteratura e della filosofia, possibilmente veicolati da insegnanti opportunamente preparati e motivati da un Ministero che li valorizzi. Al netto delle buone intenzioni e dei drammi personali – sempre e comunque rispettabili – è moralismo retorico quello che vuole illudere di formare eticamente le giovani generazioni tramite una mediocrità edificante che, quando non nasconde opportunismo politico come negli esempi di cui sopra, si rivela comunque pretestuosa e inadeguata a fronteggiare il clamoroso tracollo etico-culturale del tempo presente.

Potrei continuare, per esempio riferendomi all’ultima puntata di Report, da cui emergono forti sospetti su Alessandro Zan (deputato Pd fortemente legato alle tematiche Lgbtq+, nonché principale promotore del disegno di legge a lui dedicato) e Michela De Biase (parlamentare Pd molto impegnata nella promozione della parità di genere). Entrambi sembrerebbero titolari di attività imprenditoriali che hanno fatturato guadagni ingenti in pieno conflitto di interessi con le istituzioni interessate (la stessa comunità Lgbtq+) e rispetto alle battaglie portate avanti.

Episodi su cui farà luce la magistratura, c’è da auspicarlo. Mentre la nostra società continuerà a brancolare nel buio sconfortante di un sistema che, dopo aver mortificato lo studio, il merito e la competenza, pensa di salvarsi la coscienza (e magari salvare delle vite) grazie all’ausilio tanto edificante quanto evanescente del moralismo retorico.

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