Premesso che gli Expo mi eccitano così tanto che non ci sono andato manco quando era a Milano, la mia città, come si può farne uno a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, dove fino a poco tempo fa le donne dovevano girare velate, non potevano uscire da sole e neppure erano autorizzate a guidare le auto?

Ora sono un po’ più “libere” però, come si leggeva a settembre 2023 su Affarinternazionali.it (rivista dell’Istituto Affari Internazionali, fondato da Altiero Spinelli nel 1965), a queste piccola apertura del regime totalitario saudita “si contrappongono arresti e misure di repressione nei confronti di molte attiviste, che fanno pensare a una ristrutturazione orchestrata della reputazione di Mohammed bin Salman (MbS per gli amici, principe ereditario e primo ministro, mandante, secondo la Cia, dell’assassinio del giornalista dissidente Jamal Kashoggi, ndr), piuttosto che a un passo verso l’uguaglianza di genere. Come evidenziato da Human Rights Watch, il regime continua a detenere le attiviste che, prima delle riforme, si erano battute per la causa femminista, rafforzando così la propria capacità di controllo sulla società civile e limitando il monitoraggio indipendente del grado di implementazione delle riforme”.

Poi: “Uno dei casi di repressione più recenti è quello di Manahel al-Otaibi, attivista per i diritti delle donne, detenuta dal novembre 2022 e accusate di diffamare il regno. Coloro che sono state scarcerate, come Loujain Al-Hathloul, Nassima al-Sadah e Samar Badawi, rimangono vittime di forti restrizioni, in particolare divieti di movimento e di lasciare il Paese. Inoltre, nel marzo 2022, il governo di MbS, codificando per la prima volta le pratiche del sistema del guardiano a cui sono sottoposte le donne, ha approvato la legge sullo status della persona” che contiene ancora “disposizioni discriminatorie nei confronti delle donne in materia di matrimonio, divorzio e decisioni sui figli”.

Inoltre in Arabia Saudita a detenuti comuni, dissidenti e “blasfemi” – inclusi i minorenni – viene tagliata la testa. Amnesty International ha recentemente scritto in un report che l’Arabia “è ai primi posti nel mondo per numero di esecuzioni. Nel 2022 sono state eseguite 196 condanne a morte, il più alto numero degli ultimi 30 anni, tre volte maggiore di quello del 2021 e sette volte maggiore di quello del 2020. Fino a metà giugno 2023, quando è uscito il report, erano state eseguite 54 condanne a morte per omicidio, spaccio di droga e reati di terrorismo”.

La decapitazione, si legge sul sito di NessunotocchiCaino.it, è “un’esclusiva dell’Arabia Saudita come metodo per eseguire sentenze in base alla Sharia (la legge sacra islamica, interpretata in modo integralista, ndr)”. Di solito l’esecuzione avviene nella città dove è stato commesso il crimine, in un luogo aperto al pubblico vicino alla moschea più grande. Boh, forse all’Expo 2030 ci sarà pure uno stand dedicato ai patiboli 2.0, che offrono l’allegra possibilità di assistere all’esecuzione anche via Zoom.

Vedremo. Nell’attesa, Affarinternazionali.it tira le somme così: “Emerge ad uno sguardo più attento sullo stato della società civile, e in sintonia con la prospettiva delineata dal piano ‘Saudi Vision 2030’, che l’intento saudita possa essere un tentativo di dar parvenza di accettare ‘valori occidentali’ e di voler rinsaldare la legittimità internazionale del regime”. Ovviamente, i Paesi e i leader occidentali fanno finta di credergli, perché the business must go on: infatti hanno regalato l’Expo del 2030 a MbS.

A proposito, il nostro campione nazionale di sauditismo ottimamente retribuito è, notoriamente, un ex premier, Matteo Renzi, secondo il quale l’Arabia Saudita “può essere il luogo di un nuovo Rinascimento”. In effetti i suoi boia, quando decapitano, lo fanno con grande stile.

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