L’attacco criminale di Hamas del 7 ottobre ’23 ha fatto nascere esperti improvvisati del conflitto israeliano-palestinese sui mezzi di comunicazione europei: giornalisti, direttori di testata, opinionisti, non ce n’è uno che non abbia detto la sua su una delle dispute più complesse degli ultimi 150 anni.

Spesso e volentieri questi sedicenti esperti non conoscono l’arabo né l’ebraico, non hanno alcuna possibilità di leggere le fonti dirette e si informano tramite altre lingue, ma ahimè il mondo non è scritto solo in inglese – come tante volte si vuol credere. Questo atteggiamento amatoriale ha fatto nascere tristi fenomeni, una nuova ondata di antisemitismo basata più su Tik tok che sui libri di storia, e un fenomeno assai più triste, che chiamerei “instant negazionismo”.

Cominciamo con questa nuova ondata di antisemitismi. Mi pare non sia discutibile che il 7 ottobre Hamas ha invaso il territorio sovrano di Israele con il piano ben preparato e dettagliato di uccidere, torturare e rapire più civili israeliani possibile, senza differenza di età, sesso e religione (tra le persone uccise ci sono anche arabi e beduini, cittadini dello stato di Israele). Quel giorno Hamas ha commesso ogni crimine possibile e immaginabile contro l’umanità, ammazzando bambini, madri incinte, vecchi, violentando corpi vivi e corpi morti, bruciando famiglie da vive, e il catalogo può essere più lungo ma io, per decenza, mi fermo qua.

Essendo i mezzi di comunicazione amministrati e guidati per lo più da uomini e non da donne, mi pare che lo sciovinismo – quello non cosciente di esserlo – non dia il giusto peso e importanza ai crimini sessuali commessi quel giorno. Come spesso succede quando le donne vengono violentate, c’è l’imbarazzo, sia delle vittime che delle loro famiglie, di parlare di questi fatti e perciò vengono taciuti, mal raccontati. Ma quel giorno Hamas, come dichiarano alcuni dei suoi uomini, è venuto con il piano di macchiare le donne ebree che avrebbero incontrato; c’è un filmato che si trova nella rete con facilità agghiacciante in cui si vede una giovane donna israeliana seminuda in un vicolo pieno di terroristi di Hamas che ridono e sputano sulla vittima. Pare incredibile che questa orgia di crimini contro l’umanità abbia scatenato in pochi giorni un’ondata di manifestazioni antiebraiche e antiisraeliane.

Vorrei ricordare ai lettori di questo blog che ebrei e israeliani non sono la stessa cosa e che metà della popolazione ebraica mondiale non vive su territorio israeliano, perciò si tratta di un antisemitismo gratuito, basato sull’ignoranza. Prendo un esempio consumistico e facile. Questo fine settimana ho cercato quale uso si è fatto del nuovo antisemitismo e ho visto che Amazon propone una maglietta, in diversi colori e taglie, sulla quale è scritto “From the river to the sea Palestine will be free” con tanto di mappa per rendere il concetto visuale, facile da capire anche per un totale ignorante. Ma in questo grido e in questa maglietta c’è in realtà l’invito a un genocidio, perché se dal Giordano fino al Mediterraneo ci sarà la Palestina, vuol dire che lo statuto di Hamas verrà realizzato: non ci sarà presenza ebraica o israeliana su quel territorio.

Un altro fenomeno legato alla violenza contro le donne è che nessuna organizzazione femminile, europea o mondiale, non ha ancora condannato l’assalto di Hamas di quel sabato e non si è mai pronunciata contro i crimini commessi sul corpo femminile di quel giorno (non mi pronuncio sulla sorte che tocca alle donne ostaggio adesso nei meandri dei tunnel di Hamas).

A questo punto vorrei chiedere ad ogni lettore occidentale come risponderebbe il suo paese a una violenza della portata e della forza simbolica come quella commessa da Hamas. In realtà le azioni fatte dai 2 o 3 mila terroristi volevano dire una cosa semplice: abbiamo deciso di operare fuori dell’umano, fuori da ogni legge internazionale sui crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Questo è il significato mediatico di quel modus operandi che hanno scelto quel giorno i fondamentalisti. Chi legge i post che scrivo queste settimane sa bene che non ho alcuna simpatia verso Netanyahu e il suo governo estremista e malfunzionante. La responsabilità di questa classe politica israeliana sulla tragedia è immensa e facile da provare, ma mi rendo conto che pochi sono gli Stati al mondo, o forse nessuno, che mentre hanno 240 ostaggi civili – chi ha 4 mesi e chi 86 anni, di cui non c’è ancora da parte di Hamas una lista dei nomi, un chiarimento sulla situazione attuale di queste persone e nemmeno una visita della Croce rossa per accertarsi delle loro condizioni – nessun paese che io conosca non faceva entrare aiuti umanitari, benzina, cibo, al nemico che nasconde non solo i civili detenuti, ma anche la minima informazione sulla loro sorte.

Parlavo prima dell’”instant negazionismo” e vorrei darne un esempio che sembra preso dal teatro dell’assurdo e non da una testata vera e propria. Il giornale norvegese Gag bladat ha pubblicato in questi giorni un lungo articolo in cui si sostiene che è Israele ad aver scatenato il conflitto il 7.10.23; questo tipo di negazionismo non è molto divertente perché si basa su una rete di diffusione senza precedenti nella storia umana. Viviamo nell’epoca in cui la gente scrive e legge più di ogni altro periodo, mi riferisco ovviamente a Tik tok, Twitter e altre novità degli ultimi decenni. Jean Paul Sartre, nel suo famoso libro sull’antisemitismo pubblicato nel 1944, scrisse: “l’antisemita è una persona che ha paura. Ovviamente non degli ebrei; ha paura di se stesso, della sua coscienza, della libertà, dei suoi impulsi, della sua responsabilità, della sua solitudine, del cambiamento, della società, del mondo”.

Dirò per concludere una cosa che può suonare clamorosa: l’antisemitismo non è un problema dell’ebreo, ma della cultura che grida al genocidio senza sapere di farlo.

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