Nel nostro paese è predominante il rifiuto del femminile. Bene che vada ciò si traduce negli atavici e sgradevoli atteggiamenti di pregiudizio e discriminazione nei confronti delle donne, mentre nei casi peggiori si arriva a forme di violenza estrema come nel caso recentissimo di Giulia Cecchettin.

Ha un bel da fare l’attrice e regista Paola Cortellesi – autrice di un film che ha suscitato molti apprezzamenti, proprio sulla condizione femminile nell’Italia del Novecento – a richiamare l’attenzione sul fatto che per la prima volta a capo del governo e dell’opposizione vi sono due donne, invitando quindi la presidente Meloni e la segretaria del Pd Schlein a incontrarsi sul terreno della lotta contro la violenza sul femminile. Ha un bel da fare perché entrambe rappresentano la posizione dominante nel nostro paese che, seppure da posizioni contrapposte, vede il denominatore di un’avversione o indifferenza nei confronti del femminile.

Da una parte la presidente Meloni, che fin dalla forma con cui declinare la sua carica fece emanare un documento ufficiale in cui chiedeva di rivolgersi a Lei con il maschile. Ma al di là della forma, è la sostanza a parlare. La (o il) Presidente del Consiglio è a capo di una coalizione di centrodestra che non dimostra di considerare la tutela e la valorizzazione del femminile fra i suoi obiettivi (lo abbiamo visto anche nella recente finanziaria, dove le donne o le questioni femminili come il è il caso dell’Iva sugli assorbenti sono state ignorate o addirittura colpite).

In generale, la presidente Meloni è a capo di una coalizione politica che è stata votata a larga maggioranza da una popolazione in cui, stando a un recente studio di Astraricerche, il 40 per centro degli uomini e il 20 per cento delle donne ritengono che dare uno schiaffo alla partner non è violenza se costei ha flirtato con un altro; un uomo su tre e tre donne su dieci pensano che il maschio può forzare il rapporto sessuale quando la partner non è consenziente. In generale, siamo il paese in cui oltre il 40% delle donne dichiara di aver subito molestie, vere e proprie violenze o forme di controllo da parte della partner o della famiglia. L’89 per cento delle violenze avvengono in un contesto famigliare e nel 74 per cento dei casi sono perpetrate da mariti, conviventi, fidanzati o ex. Questo è il retroterra culturale del paese che ha eletto con ampia maggioranza l’attuale governo, capeggiato dalla mamma, donna e cristiana Giorgia Meloni.

Dall’altra parte abbiamo la donna e segretaria Elly Schlein che, seppure all’interno di una galassia culturale più eterogenea e conflittuale al proprio interno, è rappresentativa di un sentire progressista che in buona parte tende a voler fluidificare i generi sessuali, riconoscendo minore irriducibilità alle caratteristiche proprie del femminile e del maschile. Senza voler entrare qui in questo discorso piuttosto complesso, possiamo perlomeno ammettere che è più arduo combattere le discriminazioni e le violenze subite dal femminile ad opera del maschile, se a monte si parte da una incapacità (o non volontà) di riconoscere come fisiologiche alcune caratteristiche generali che – appunto generalizzando – connotano uomini e donne.

Ciò si vede per esempio dalla prima reazione di Elly Schlein, che secondo i giornali si è rivolta così a Giorgia Meloni: “Mettiamo da parte lo scontro, serve una legge per agire nelle scuole con l’educazione ai sentimenti”. Ecco, al di là della lodevole intenzione di unire le forze per affrontare un problema grave e persistente, credo che non sia nel paese delle troppe leggi – non di rado smentite da altre che sostengono l’esatto opposto – che possa essere una di queste a risolvere di per sé un problema tanto antico quanto vergognoso. Ma soprattutto, non è possibile una buona educazione sentimentale se non si parte dal riconoscimento, dalla conoscenza e dalla valorizzazione del femminile accanto al maschile. Se non si riconosce finalmente, anzitutto a livello culturale, che il femminile è portatore di caratteristiche specifiche che tanto possono fare per correggere una società a trazione patriarcale. I ragazzi sono in larghissima parte attratti dalle ragazze e viceversa, in virtù anche di identità e caratteristiche specifiche del femminile e del maschile che, proprio perché differenti, è necessario siano conosciute.

Ciò non esclude o discrimina l’omosessualità né la bisessualità, perché queste (come altre) sono delle modalità, perfettamente legittime e naturali, con cui l’individuo sente e sceglie di declinare in maniera differente il maschile e il femminile che abitano dentro ciascuno di noi. Il rispetto della differenza passa necessariamente per la conoscenza di quella differenza.

Esattamente come il rifiuto della violenza passa per la comprensione del fatto che è ingiusto (oltre che inutile) esercitarla verso una persona che ci rifiuta, ci lascia o semplicemente esercita la propria identità (anche sessuale) inevitabilmente differente dalla nostra. Il patriarcato non è soltanto la dominazione del maschile sul femminile, ma anche una società che svilisce e mortifica cultura, educazione e dialogo fra le differenze, generando un contesto sociale (e famigliare) il cui unico valore è il profitto e a prevalere è la forza. Entrambi per definizione indifferenti all’umano.

Il punto è: quanto di tutto ciò può essere effettivamente realizzato, in un paese diviso fra una cultura conservatrice (prevalente) che considera la differenza femminile qualcosa di irrilevante o inferiore, e una progressista che quella differenza finge o ritiene di non riconoscerla, prima ancora di valorizzarla? Entrambe, se è consentito dirlo, sottomesse all’unico dio della contemporaneità: il profitto senza sesso né amore.

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