Back on track, ma con le solite differenze di vedute inconciliabili. E un botta e risposta a distanza tra Washington e Pechino, dopo che Joe Biden ha ben pensato di dare del dittatore a Xi Jinping. A parte questo infortunio, però, si è concluso con un bilancio generalmente positivo il summit tra il presidente statunitense e il suo omologo cinese, in visita a San Francisco a margine del vertice Apec. In un confronto di quattro ore nella storica tenuta di Fioli alle porte della metropoli californiana, i due leader hanno affrontato la relazione bilaterale tra le due superpotenze globali sotto diversi aspetti, confermando la ripresa del dialogo sul fronte militare e portando a casa l’annunciato accordo sul fentanyl. Hanno anche parlato della guerra tra Israele e Hamas, con Biden che ha chiesto a Xi di esercitare la sua influenza sull’Iran per evitare l’allargamento del conflitto. In serata Xi ha invece partecipato a una cena di gala con diversi imprenditori statunitensi, tra cui anche Tim Cook ed Elon Musk, durante la quale ha assicurato che Pechino “non intende entrare in guerra con nessuno, non combatterà né una guerra fredda né una guerra calda“, ribadendo la priorità cinese di mantenere la stabilità e di accogliere gli investimenti stranieri.

Summit con bilancio positivo, ma per Biden Xi Rimane un “dittatore – Il clima disteso e cordiale dell’incontro, con tanto di scambio di battute tra i presidenti sulle rispettive automobili a fine vertice, è stato tuttavia annebbiato dalle dichiarazioni di Biden, che sul finire della conferenza stampa ha confermato di ritenere Xi un “dittatore“. Alla domanda diretta di un giornalista che ha chiesto a Biden se continuasse a ritenere il leader cinese un dittatore come affermato in passato, Biden ha risposto: “Guardate, lo è. È un dittatore nel senso che è un uomo che governa un Paese che è comunista ed è basato su una forma di governo completamente diversa dalla nostra”. Pronta la replica della portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, che ha definito “estremamente sbagliata” la dichiarazione, sottolineando che si è trattato di una forma di “irresponsabile manipolazione politica“. La portavoce ha aggiunto che “ci saranno sempre persone con secondi fini che proveranno a istigare e danneggiare le relazioni Cina-Usa: sono destinati a fallire”.

Termini taglienti dunque, ma non sufficienti per inficiare il risultato del summit, che secondo il presidente statunitense ha portato Cina e Usa a ritrovare una comunicazione “aperta, chiara e diretta” con la Cina. Questo dopo un periodo di gelo che aveva visto le due potenze infiammarsi a più riprese sullo sfondo di tensioni militari e incidenti diplomatici come quello del presunto pallone spia cinese lo scorso febbraio. Posizione confermata anche dai quotidiani della Repubblica popolare, che descrivono il vertice come un successo, e l’attenzione è tutta rivolta agli sforzi del presidente Xi nel sottolineare che “sul pianeta c’è spazio sia per la Cina che per gli Stati Uniti” e che entrambi i Paesi hanno diritto a uno sviluppo indipendente nel rispetto delle differenze reciproche, senza che il confronto si tramuti in conflitto. “Il Presidente Biden e io siamo al timone delle relazioni tra Cina e Stati Uniti e abbiamo una grande responsabilità nei confronti del popolo, del mondo e della storia”, ha detto Xi sulla prima pagina del Quotidiano del Popolo, la voce del Partito comunista cinese.

Ripreso il dialogo militare e accordo sul fentanyl Oltre alla retorica, ci sono stati risultati concreti importanti. Da primo la ripresa del dialogo ai massimi livelli sul fronte militare, interrotto ad agosto 2022 da parte della Cina come ritorsione per la visita dell’allora speaker della Camera Usa Nancy Pelosi a Taiwan. “Gli errori di calcolo da entrambe le parti possono causare problemi seri con un Paese come la Cina”, ha commentato a proposito Biden dicendosi soddisfatto del risultato raggiunto. Tornare a parlarsi in ambito di Difesa non significa azzerare le tensioni, ma servirà per ridurre potenziali escalation in aree di tensioni come il mar Cinese meridionale, zona particolarmente attiva nelle ultime settimane con i frequenti contatti tra imbarcazioni cinesi e filippine, e lo Stretto di Taiwan, sede di continue esercitazioni militari. Secondo l’agenzia di stampa cinese Xinhua, Cina e Stati Uniti riprenderanno il dialogo anche sulla sicurezza nei mari e a livello ministeriale. Questo in attesa che Pechino nomini il nuovo ministro della Difesa, con la sede rimasta vacante dopo la rimozione di Li Shangfu, generale sotto sanzioni Usa dal 2018 per l’acquisto di armi alla Russia durante un precedente incarico.

Tra i successi dell’incontro anche gli accordi su clima e fentanyl. Il primo è arrivato a poche ore dal vertice tra Biden e Xi, con la firma di una dichiarazione comune in cui Pechino e Washington si impegnano a lavorare insieme contro “una delle più grandi sfide del nostro tempo” e il rilancio di un gruppo di lavoro condiviso. Sul fentanyl Xi ha promesso di aiutare la lotta al narcotraffico imponendo controlli più stringenti sui laboratori accusati di produrre componenti chimiche utili a produrre l’oppiaceo da cui sono dipendenti migliaia di statunitensi. Washington e Pechino si sono mostrate aperte anche a discussioni sull’impiego dell’intelligenza artificiale, ma senza raggiungere l’accordo sulla restrizione al loro utilizzo in ambito militare di cui si era parlato.

Nodo Taiwan, toni più distesi ma resta il “disaccordo concordato” – Il tema “più sensibile” nel confronto tra i due Paesi resta Taiwan. Con un sostanziale ridimensionamento dei toni da parte di Pechino, durante i colloqui Xi ha spinto per ottenere rassicurazioni da Washington chiedendo di non armare Taipei mentre Biden ha chiesto a Xi di mitigare le azioni sullo Stretto. Xi avrebbe anche detto a Biden che non sono previste “azioni militari imminenti” su Taiwan, mentre le agenzie cinesi riportano che in fase di colloquio il Segretario del Partito comunista ha ribadito che “la Cina sarà in ultima istanza inevitabilmente riunificata” e questo non esclude l’utilizzo della forza. e non accontentandosi dell‘ambiguità strategica di Washington. Gli Stati Uniti non riconoscono formalmente Taiwan come uno Stato indipendente, ma ne aiutano l’autodifesa e negli ultimi anni hanno intensificato gli scambi con Taipei. L’ambiguità strategica (sempre meno ambigua) di Washington sta proprio nel riconoscere la posizione cinese che vede Taiwan come parte del territorio della Rpc senza tuttavia condividerla.

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