A un mese dall’inizio dell’escalation israelo-palestinese, seguita ai tremendi attacchi di Hamas del 7 ottobre, la situazione umanitaria a Gaza è disperata, mancano i beni essenziali, l’acqua, il cibo. Chi ha potuto è fuggito nella parte sud della Striscia restando praticamente senza nulla, mentre centinaia di migliaia di civili sono rimasti a nord dove infuriano i combattimenti anche via terra, nelle ultime ore anche dentro Gaza City. Le testimonianze che riceviamo ogni giorno dai nostri colleghi raccontano di una popolazione civile intrappolata nella paura indicibile di non poter sopravvivere.

In questo momento, le bombe cadono continuamente su Gaza e la BBC ha stimato che varie volte si è raggiunto un picco di intensità di sei bombe o missili lanciati ogni minuto. Le vittime a Gaza sono oltre 10.300, tra cui 6900 donne e bambini; 2450 persone, tra cui 1350 bambini, risultano disperse e potrebbero essere ancora intrappolate o morte sotto le macerie. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Palestinesi (UNRWA) riferisce di aver perso più di 70 membri del suo staff nelle ultime tre settimane.

Nessuna autorizzazione al momento per corridoi umanitari, pause umanitarie o “safe zone” per i civili, ma solo l’ingresso di pochi camion di aiuti dall’Egitto attraverso il valico di Rafah. Aiuti che comunque già adesso è molto difficile distribuire sotto i bombardamenti e con le vie di comunicazione interrotte, figuriamoci con i necessari volumi. Né tantomeno si avvicina l’ipotesi di un cessate il fuoco che rappresenterebbe l’unica vera soluzione, non solo per fermare la sanguinosa spirale di morte e violenza a cui stiamo assistendo da entrambe le parti, ma anche per consentire alle organizzazioni umanitarie come Oxfam di soccorrere in sicurezza i civili. Ma cerchiamo di capire quali siano le opzioni in campo, oggetto del dibattito internazionale in queste ore, quali le implicazioni e i limiti.

L’ipotesi pausa umanitaria

La tregua temporanea dei combattimenti – che può consentire alle persone di lasciare un’area di conflitto o di far arrivare aiuti umanitari o altre forniture – è stata richiesta dai Paesi Ue nel corso del Consiglio Affari Esteri dello scorso 28 ottobre ed è un’opzione su cui stanno lavorando anche gli Stati Uniti, che proprio ieri col Presidente Biden hanno rilanciato l’ipotesi di una tregua di tre giorni. Rappresenta chiaramente una soluzione estremamente fragile e che non risolve i bisogni umanitari della popolazione, non garantendo la protezione dei civili in un contesto di guerra.

Cosa sono le “safe zone” e perché possono esporre i civili a rischi anche maggiori

Una zona sicura è un’area che le parti in conflitto concordano essere off limits agli attacchi. A volte gruppi esterni possono supervisionarne la sicurezza. L’esperienza di Oxfam nei conflitti di tutto il mondo è però che queste misure possono talvolta mettere i civili a maggior rischio perché spesso non sono in grado di accedere a informazioni credibili. Si diffondono notizie false sul fatto che questa o quella “zona sicura” sia stata dichiarata area demilitarizzata anche se così non è.

I limiti dei corridoi umanitari spesso non rispettati

La creazione di un corridoio umanitario implica che le parti in conflitto dichiarino che un determinato percorso non venga preso di mira per un periodo breve o lungo e può consentire di portare beni essenziali alla popolazione. Recentemente è stato attuato in Ucraina, a Mariupol, consentendo ai civili di fuggire da un’acciaieria. Molto spesso però i corridoi vengono invocati ma non rispettati. Come qualche anno fa nella regione di Damasco, in Siria, quando una serie di attacchi bloccò l’attuazione di un corridoio umanitario a Ghouta. Inoltre, non esistono leggi specifiche che disciplinano i corridoi umanitari o le zone sicure, trattandosi per lo più di accordi volontari. A volte le dichiarazioni sono fatte da una sola parte, o stabilite con standard minimi, e sono quindi estremamente fragili. A volte un corridoio può essere dichiarato per un determinato periodo di tempo, ma quando questo scade ancora una volta i civili possono essere confusi e finire coinvolti negli scontri.

Governi e gruppi armati possono sfruttare i corridoi per spostare personale o forniture militari, alimentando di fatto il conflitto, o possono nascondere truppe tra i civili in presunte zone sicure. La popolazione di Gaza, in questo momento, teme che i negoziati ridotti alla proposta di corridoi umanitari e zone sicure siano in realtà un tentativo di rimuoverli definitivamente dalla loro terra verso un nuovo luogo e spingerli in Egitto. Timori che appaiono fondati, viste le recenti dichiarazioni di esponenti del Governo israeliano e i documenti ufficiali che ipotizzano il loro trasferimento in Egitto.

Israele ha il dovere di proteggere i civili secondo il diritto internazionale

Al netto di tutto questo c’è infine un elemento chiave da considerare: non dovremmo avere bisogno di corridoi umanitari, zone sicure o “pause” nei combattimenti per far arrivare aiuti salvavita e proteggere i civili. Per il diritto umanitario internazionale è illegale prendere di mira i civili o negare le forniture di aiuti umanitari, come cibo, medicine o acqua, distruggere magazzini di cibo o reti idriche. Israele come “potenza occupante”, secondo il diritto umanitario internazionale, ha l’obbligo legale di garantire il benessere della popolazione di Gaza, compresa la fornitura di aiuti, che possono passare dai suoi due valichi: Erez e Kerem Shalom.

Il nostro appello per un immediato cessate il fuoco

Oxfam chiede dunque un immediato cessate il fuoco e invita tutti a firmare una petizione rivolta al Governo italiano e ai leader Ue perché esercitino tutta la pressione diplomatica possibile perché ciò avvenga al più presto. Domani a Parigi si terrà una Conferenza umanitaria a cui sono invitati i leader del G20 e rappresentanti delle principali istituzioni internazionali. Al primo punto dell’agenda si legge: “Azioni per promuovere il rispetto del diritto umanitario internazionale, la protezione dei civili e del personale umanitario e il rafforzamento dell’accesso umanitario”. Ci aspettiamo che anche da qui arrivi la richiesta di cessate il fuoco che stiamo aspettando da settimane. Senza, metteremo ulteriormente a rischio sia i civili che le agenzie umanitarie. Come ci si può aspettare che Oxfam, i nostri partner, le organizzazioni nazionali e le altre agenzie umanitarie consegnino gli aiuti mentre le bombe continuano a cadere?

Infine, ci sono altrettante, forti e urgenti domande che toccano profondamente il nostro sentirsi esseri umani: qual è il limite a questo spargimento di sangue? Tutto questo dolore servirà a placare quello precedente? Oppure sarà la causa del prossimo? Saremo (e saranno) tutti più sicuri dopo questa operazione? Perdono e conciliazione sono sforzi che nessuno è più disposto a compiere?

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